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IL TERRITORIO, UN ”LIBRO” DA LEGGERE

Mappa della città
di MARCELLO VITTORINI


Ormai, superate le ipotesi di una fondazione federiciana imperiale o papale dell'Aquila, c'è generale accordo sul fatto che la città fu fondata dagli aquilani futuri, cioè dagli abitanti del centinaio di ”castelli” già consolidati nella conca delimitata dai massicci montuosi del Gran Sasso, del gruppo Velino-Sirente e di Monte Calvo - Monte Giano, i quali erano legati fra loro dai complessi rapporti sociali ed economici derivanti dalla pastorizia transumante e dalla lavorazione/commercializzazione dei suoi prodotti. Essi, ovviamente, avevano bisogno che l'Impero ed il Papato riconoscessero i ”diritti” - le pretese - degli abitanti della città e dei centri circostanti, che ”intaccavano” profondamente i poteri delle Autorità suddette, ma questa ”accettazione” aveva ben poco a che fare con la fondazione della città.

Meno condivise sono invece, ancora oggi, le ipotesi sulla genesi della ”forma” della città, con riferimento ai ”modelli” culturali che la determinarono. Il suo tessuto ortogonale ha suggerito un facile riferimento alla città romana ed all'impianto cardo-decumanico, ma tale ipotesi non trova conferma nella individuazione degli ”assi generatori” e nella individuazione del ”luogo centrale” della città in corrispondenza del loro incrocio. D'altro canto il tessuto ortogonale ippodameo, che rispondeva a precise esigenze di razionalità d'impianto e di qualità dello spazio pubblico di relazione, era quello delle città greche e - dopo Roma - delle città di nuova fondazione europee.

Inoltre manca, nel caso dell'Aquila, la continuità degli assi suddetti nel territorio circostante, che non registra alcun segno della ”centuriazione” che in altre parti d'Italia ha regolato la assegnazione delle terre ai legionari romane ed ha ”espresso” il disegno urbano. E manca, soprattutto, la definizione, con le porte della città, della penetrazione in essa del cardo e del decumano ”maggiori”. Certamente i lunghi rettilinei che segnano la conca amiternina e, in misura minore, la conca forconese sono stati tracciati dai romani e sono legati ai ”sistemi” della via Salaria, della via Claudia Nova e della via Caecilia, ma l'impianto urbano non è quello della città romana, della quale nell'Abruzzo centrale non c'erano esempi: Amiternum non era ”città compatta”, ma un insieme di ”ville” dotate di servizi e luoghi di incontro (anfiteatro, teatro templi) concentrati in uno spazio ben definito.

Indubbiamente il ”modello” di distribuzione delle attività, degli spazi e dei percorsi è quello maturato nei Monasteri benedettini e cisterciensi, applicato e continuamente perfezionato nelle ”bastides”, città nuove fondate soprattutto in Aquitania e in Normandia con il determinante contributo dei monaci. Tuttavia la ”forma urbana” dell'Aquila ha una sua particolare, straordinaria, peculiarità. che si traduce in un ”disegno” fortissimo che si è mantenuto nei 750 anni della sua vita, nonostante le distruzioni notevolissime provocate da guerre e terremoti. Un disegno che non deriva soltanto dalla applicazione più o meno intelligente di un ”modello” da parte di un pianificatore o di un gruppo di pianificatori, ma che risulta dalla attenta, consapevole e coerente, utilizzazione di ”preesistenze” derivanti dalla morfologia dei luoghi e dalla distribuzione di antiche - forse arcaiche - funzioni, che determinarono un intreccio di tracciati, seguiti già dagli antichi abitatori: raccoglitori e cacciatori.

A sostegno di queste mie considerazioni non ci sono documenti conservati negli archivi, ma c'è la ”lettura” del territorio naturale, modificato nei secoli dall'uomo, che ha registrato tutte le trasformazioni: un libro meraviglioso, che può ancora oggi essere agevolmente ”letto” da ognuno di noi, purché sia dotato della necessaria curiosità. Innanzitutto è necessario considerare la morfologia dei luoghi, in epoca pre-romana. L'ampia conca, dominata dai massicci montuosi ricordati in precedenza, è divisa al centro da una emergenza naturale singolarissima: un colle che, con il suo profilo netto e con la sua sommità pianeggiante, taglia l'orizzonte di chi lo guarda, sia da oriente che da occidente. Esso costituisce un confine naturale - di nazione, di lingua, di etnia - fra le popolazioni sabine e vestine che abitano la conca, le quali, anche se spesso in conflitto fra loro, sono legate da intensi rapporti religiosi, culturali, commerciali, politici.

Rapporti che si sviluppano naturalmente sulla sommità del colle, pianeggiante e meravigliosamente esposta, che si configura- di fatto- come una sorta di ”punto franco”, molto frequentato: luogo di mercato, di culto, di guarnigione militare, nel quale si colloca, fin dalla fondazione della città, la Piazza Grande, del Mercato e della Cattedrale, che determina un ”sistema di luoghi centrali” comprendente anche la attuale Piazza Palazzo e le quattro strade interposte. Alla sommità pianeggiante arrivano i percorsi di collegamento di esso con le aree pianeggianti delle due parti - orientale ed occidentale - della conca e, con i ”castelli” fondatori della nuova città.

Due piccoli insediamenti preesistevano da tempi antichissimi alla base sud-orientale del Colle: l'uno nella parte più pianeggiante, formato da ortolani ed artigiani che utilizzavano la grande disponibilità di acqua, assicurata dal fiume e dalla grande risorgiva della Rivera, glorificata dalla meravigliosa Fonte delle ”99 cannelle”, e l'altro, Acquili, nel luogo dell'attuale convento di Santa Chiara. Di questo antico sistema di relazioni si trova traccia sia nelle 12 Porte che ”bucano” le mura, sia nel mantenimento dei tracciati a mezza costa di ”salita al colle” (come l'attuale Via Fortebraccio e come il percorso sinuoso dalla Rivera alla Piazza, per via delle Bone Novelle) e di quelli rettilinei, diretti, anche se molto acclivi e necessariamente ”cordonati”.

In sostanza il ”disegno urbano” della città non determina i luoghi centrali come incrocio di ”cardi e decumani” appositamente tracciati, ma nasce dalla preesistenza di luoghi centrali e di percorsi ben riconoscibili e da lungo tempo radicati nell'immaginario collettivo degli abitanti della conca e di viandanti. Da questo solido e complesso impianto, ancora oggi chiaramente leggibile, nasce la ”forma urbana” della futura città, condizionata, come ricordato in precedenza, dal pensiero benedettino e dal modello spaziale del Monastero (diviso ”in croce”) e dalla assegnazione ai castelli fondatori di spazi commisurati alla loro consistenza demografica: i locali, ricompresi nei quattro ”Quarti” di San Giorgio, di Santa Maria, di San Pietro e di San Giovanni.

I quattro Quarti non risultano dall'incrocio di strade principali (come negli impianti cardo-decumanici), ma si articolano intorno alla Piazza Grande del Mercato e della Cattedrale, sulla quale convergono i percorsi di accesso dai centri circostanti, attraverso le 12 porte. Il numero e la collocazione di tali porte non rispondono solo ad esigenze funzionali, ma soprattutto ad esigenze di ”immagine” e di ”visibilità” dei centri. Così ad esempio gli accessi da Oriente passavano attraverso quattro porte (di Pile, Romana, Lavareta e di San Lorenzo di Pizzoli), quelli da settentrione passavano attraverso due porte (Brinconia e Paganica); quelli di Occidente attraverso tre porte (Leoni, Bazzano e Tione) e quelli da Mezzogiorno attraverso tre porte (di Bagno, di Roio e della Rivera). In sostanza i castelli di Pile e della Torre - che avevano ”dato” il terreno su cui fu costruita la città (de Pile et de la Torre fue tucto lo terrino, come ricorda Buccio di Ranallo) ebbero la loro porta (di Pile e dei Leoni) ed ebbero la loro porta sia i centri ”Capo Quarto” (Bazzano, Paganica, Roio e Coppito), sia quelli più rilevanti come Bagno (Balneum cum villis), Collebrincioni, Pizzoli e Barete, Goriano Valle con i centri della Subequana.

Anche gli ortolani e artigiani della Rivera ebbero la loro porta. Questa ”lectura urbis” potrà essere sviluppata ulteriormente in futuro, con riferimento alle piazze, alle strade ed alle Chiese dei ”locali”, non solo da me ma anche dai lettori, che potranno utilizzare a tal fine i disegni qui riprodotti.




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