Intervista de Il Capoluogo ad Angelo De Nicola
LA MEDICINA PER L'AQUILA? UN PROGETTO NUOVO...
Angelo, un tipo cordiale e pronto alla battuta se ci si trova a cena. Meditativo, sensibile e accorato per il momento negativo che la sua città - amata città - sta vivendo. Ma non uno che si tiene da parte. Sente che bisogna fare qualcosa, e si prepara a farla dando soprattutto, come è suo solito, il cuore. Forse è proprio questo che manca a molti aquilani: un po' di cuore. I soldi alla fine si trovano sempre, il cuore non si vende al centro commerciale. 13 domande ad Angelo De Nicola.
Giornalista, un mestiere un tempo sognato e ambìto. Oggi precario, insicuro, avventuroso e per niente avvenente. Almeno per i più.
"Il mio Maestro, Guido Polidoro, ripeteva sempre che "si studia una vita per diventare cronisti ma spesso non ci si riesce". Ecco: lo studio. Questa è la declinazione del giornalismo, oggi come ieri, nei momenti d'oro come in quelli bui come l'attuale, che ci vede duramente contrapposti agli editori, in particolare per quanto riguarda la precarietà della professione per le giovani leve. Questo è quello che la nostra "generazione" di giornalisti non riesce ad insegnare alle giovani leve, distratta forse da una crisi soprattutto morale: non c'è più dialogo, non c'è più voglia di fare, non c'è più voglia di sperimentare. Mancano punti di riferimento certi, i "maestri" insomma. Cosicchè qualcuno, in città, pensa che essere cronisti significhi imbucarsi ad una "succulenta cena" offerta dal potente di turno, sfoggiare il permesso per l'isola pedonale, entrare gratis al cinema ed allo stadio. Molti problemi di una professione che sta cambiando pelle sono oggettivi ma molti sono anche soggettivi. In una città di provincia come la nostra, risaltano di più".
Giornalista, ma anche scrittore da qualche anno. Forse per essere più te stesso, oppure per evadere dalla routine della cronaca quotidiana? O per una "chiamata" vocazionale?
"Per me che, a 15 anni, sono entrato in una redazione fumosa di un quotidiano nella quale c'era "il Capo" che, in meno dieci minuti, componeva un editoriale perfetto e senza il benchè minimo refuso ticchettando a dieci dita sulla tastiera di una "lettera 22", per me la scrittura è tutto. E' l'oggi, è il domani. Qualche anno fa ho sentito una spinta dentro e l'ho seguita. Così ho iniziato un percorso: dal libro sul caso Perruzza ("Una lunga cronaca durata 13 anni scritta da un cronista d'altri tempi" la definì Amedeo Esposito) al saggio "Da Tragnone a Fidel Castro", ovvero l'opera a cui tengo di più perché lì dentro c'è il mio più che ventennale lavoro quotidiano di giornalista. E perché c'è una sperimentazione che potesse consentirmi di tentare di guadagnare un mare aperto (il romanzo) dopo aver conosciuto a fondo un porto (gli articoli). Scrivere è sperimentare: se stessi, l'oggi, il domani, la vita. Inevitabile, forse, il salto nella narrativa. Salto senza rete? I lettori, sempre loro, sono i giudici e diranno se "La maschera di Celestino" ed il nuovo "La missione di Celestino" hanno diritto di cittadinanza".
Come giornalista tra i migliori in Abruzzo, e scrittore spiritoso e arguto, quale soddisfazione hai assorbito, e gustato, di più? L'ossequio dei potenti, i complimenti dei lettori, l'invidia di alcuni colleghi?
"L'invidia non mi appartiene e non la giustifico, alla luce soprattutto del momento di crisi che, a livello nazionale ma anche locale, attraversa la nostra categoria che, al contrario, dovrebbe unire le forze per cercare di superare i problemi e tornare ad essere un contropotere credibile, un "cane da guardia" efficace. La soddisfazione più grande? La menzione speciale nell'ambito del "Premio Polidoro" del 2004, per il volume "Da Tragnone a Fidel Castro". Dice, tra l'altro, la menzione: "Il continuo richiamo al 'capo' e al 'maestro' che De Nicola fa nel suo racconto sono la testimonianza più vivida della risorsa umana, prima ancora che professionale, che Polidoro ha saputo positivamente infondere in decine e decine di giovani che si sono avvicinati al giornalismo fino a farne la loro professione e vita"".
De Nicola, su un giornale normale, in un giorno normale, dietro e tra le righe, quanta verità c'è? E' possibile scrivere sempre e comunque la verità? Oppure ci piace crederlo e farlo credere?
"Il cronista ogni giorno commette errori, spessa s'indigna quando non dovrebbe, a volte si lascia sopraffare da simpatie ed antipatie, non riesce a liberarsi da preconcetti. Insomma il giornalista è un uomo con dei limiti che perciò non può e non deve sbandierare l'obiettività, concetto che quando si cita nel giornalismo è solo per truffare i fruitori del messaggio perché l'obiettività non esiste. Io rivendico la mia buona fede. Ho sbagliato e spesso sbaglio ma mai per partigianeria o per favorire e-o sfavorire qualcuno o qualche posizione invece di un'altra. E, che mi si creda o no, da quando nel 1996 ho assunto la responsabilità della redazione dell'Aquila del Messaggero, nelle innumerevoli campagne elettorali (una decina) che ho "gestito", non ho mai, ripeto mai, subìto pressioni di sorta, tranne che in un caso, per una tornata delle Politiche, da una candidata che si fece "raccomandare" dall'editore, anche se solo per avere un occhio di riguardo".
L'Aquila, città indubbiamente malata, sofferente, defedata, arrancante. Ci sono colpe, responsabili da additare, ma anche rimedi da adottare?
"C'è solo un rimedio: unire le forze, superare le divisioni (centrodestra-centrosinistra, neri-verdi, rossi-blu) e ritrovare quella compattezza che, in passato, ci ha fatto grandi soprattutto nei momenti difficili. Per farlo occorre superare la rassegnazione che nulla possa cambiare. "Immota manet", è vero; ma se lo colleghiamo al "PHS" del nostro stemma, nell'interpretazione che a me piace secondo la quale l'acronimo sta per "Publica Hic Salus", allora il concetto diventa: "Restiamo fermi a difesa della salute pubblica". Fermi e uniti e, forse, possiamo farcela. Quanto a colpe e responsabilità, che ci sono forse anche tra chi (noi giornalisti) non ha fatto abbastanza, vanno certo ricercate ed analizzate ma solo per guardare avanti, non per fare prigionieri. La "guerra" per sopravvivere e cercare di vivere meglio deve essere fatta semmai contro gli altri, non tra di noi".
Si dice che Angelo De Nicola sia lucidamente e razionalmente intenzionato a dire la sua e a dare una mano per aiutare la città. Naturalmente, in politica. Che c'è di vero?
"Più vero che falso. E chi non lo farebbe, in questo momento? Chi non ascolterebbe questa rabbia dentro, come accade a me che, da un osservatorio "privilegiato" quale è la redazione di un giornale, vede passare sotto i propri occhi una città sbranata, lacerata, spenta? Chi non si ribellerebbe a guardarla negli occhi, questa città diventata triste, che non "parla" più dopo che proprio sul "dialogo", in passato, aveva fondato la sua forza? Una città che oggi è capace di entusiasmarsi solo per l'apertura di un centro commerciale. Più che dare una mano, vorrei dare una voce a quella richiesta di impegno civile che percepisco anche quando, in redazione, raccolgo al telefono lo sfogo di cittadini schiacciati sotto la cappa d'impotenza che aleggia sulla città. Ecco, vorrei aggregare quei cittadini perbene (tanti) ma che non hanno la consuetudine di esporsi. Unire, non dividere. Mediare, non spaccare. Per far questo, con altri, ho dato vita ad un "movimento" che abbiamo chiamato "L'Aquila Città Unita" (uniti soprattutto tra di noi) che sta cercando di crescere e di avere un suo peso soprattutto di progettualità. Io, nonostante tutto, sono ottimista: L'Aquila ed il suo territorio ce la possono fare. Almeno vale la pena tentare: io sono pronto. E non dico, come molti fanno, che "me lo chiedono, mi implorano!". Lucidamente e razionalmente ho ipotizzato un progetto e sono pronto a rischiare fino in fondo. E siccome la morale una è, da un mese e mezzo mi sono dichiaratamente autosospeso dal trattare l'argomento della politica cittadina sulla pagina del mio giornale".
Se è vero, accanto a chi? Ci saranno pure cervelli e potenti pronti a dare un impulso, un contributo? Penso ai pochi che contano e possono: davvero pochi...
"I movimenti e le liste civiche, storicamente, non hanno mai avuto successo nella nostra città. Basti ricordare la grande occasione perduta con l'avvocato Attilio Cecchini candidato sindaco nel 1994, un gigante morale, professionale, intellettuale. Sicchè è necessario un progetto politico. Un progetto nuovo, fresco, moderato e che soprattutto dia spazio ai giovani che, dopo l'esperienza dei padri, si misurino finalmente con la gestione della loro città".
Hai sicuramente già aiutato la città con le tue iniziative editoriali, gestite con capacità e intelligenza anche manageriale. E con il tuo giornale, Il Messaggero. Altri direbbero: "Ho già dato".
"Cosa ho fatto se non il mio dovere di cittadino? Potevo fare qualcosa, ebbene l'ho fatta. Potevo dare un contributo alla Perdonanza, organizzando dei tour gratuiti sui luoghi del mio romanzo, ebbene l'ho fatto collaborando, e ne sono orgoglioso, a titolo gratuito. Potevo raccogliere fondi per la "Missione" in Africa intitolata a Celestino V, ebbene l'ho fatto. Potevo diffondere la valenza della Perdonanza (per la quale, ahimè, abbiamo fatto notizia ma solo per gli scandali) esaltata nei miei due romanzi, ebbene l'ho fatto in una quarantina, finora, di conferenze e incontri in giro per l'Italia di cui una quindicina, con mio grande orgoglio, nelle scuole. Potevo proporre un sito Internet che fosse tutto sbilanciato sulla città, ebbene l'ho fatto. No, non ho aiutato la città: ho solo provato a "leggerne" le opportunità ed a metterne in rete le enormi potenzialità. Opportunità e potenzialità che, attenzione, appartengono a tutti. Immaginate se ogni cittadino, nel suo piccolo, facesse lo stesso! Se tutti pulissero i dieci metri davanti alla propria abitazione, la città sarebbe uno specchio. Immaginate se questo metodo fosse fatto proprio da tutti gli amministratori pubblici! Sì, un sogno. A me piace sognare. A quarant'anni devo sognare".
Parlano di un sindaco ormai disincantato, quasi annoiato, distratto. Sarà vero? Vedi Tempesta in questa situazione psicologica? Gli somiglia il ritratto tracciato di recente da Giustino Masciocco?
"Nove anni sulla tolda di una nave, peraltro in acque mai tranquille, sfiancherebbero la fibra psicologica di qualsiasi capitano. Tempesta ha avuto l'occasione di una sua uscita onorevole quando, l'anno scorso, per due volte si è dimesso per candidarsi alla Camera in base alla considerazione, opinabile ma comunque dettata da motivazioni politiche, ovvero "L'Aquila soffre perché non era ben rappresentata in Parlamento". Dopo che il suo partito, Forza Italia, ha tagliato la faccia a lui ed alla città capoluogo (e il centrodestra, col suo assordante silenzio sulla questione, ha certificato il suo declino), Tempesta non ha scelto la strada dell'uscita di sicurezza dignitosa ma del rientro con la coda tra le gambe: il viale del tramonto, inevitabile per chiunque, è duro da percorrere".
E' un luogo comune dire: destra e sinistra si somigliano. Fanno e dicono cose simili. Non è che per certi malati, la medicina da prescrivere è comunque una sola?
"Nella situazione, grave, in cui versa la nostra città non è questione di destra e di sinistra ma di questi partiti e dei loro esponenti che non riescono a dare risposte anche perché tengono fuori le energie vive. La "medicina" è un progetto nuovo, fresco, condiviso, unitario con dentro persone che siano perbene e decise a volare alto. In una parola: tignose. Un progetto "trasversale" ma nel senso buono del termine".
Hai scelto un giornalismo moderato, misurato, anche se talvolta "spari" dei corsivi acuminati. Te lo chiedono direttori e capi redattori, o è una scelta personale?
"Non ho mai avuto pressioni, indicazioni o "consigli" per scrivere questo o quello. Se ho sbagliato, è colpa mia. E per sbagliare il meno possibile, occorre studiare: mettersi sempre in discussione".
Ti distingui per essere un signore della penna, non immemore di persone e firme del passato. Sai che nel nostro mestiere si tende a impugnare il badile per seppellire chi è ancora vivo. Carattere, o lucida decisione?
"Il passato, la memoria sono la nostra identità. Giornalisti come Polidoro, Esposito, Carli, Colacito hanno fatto la storia non solo del giornalismo abruzzese, ma la storia della nostra regione attraverso i loro articoli. Signore della penna? Mi piacerebbe, a fine carriera, poter essere ricordato così: quest'arma, la penna, è capace di uccidere le persone. Se lo si fa intenzionalmente è omicidio".
L'ultimo pensiero la notte, prima di dormire. E magari anche un desiderio di sogno telecomandato...
"La notte, a tarda ora per le mai troppe buone letture ed al termine di giornate affannate, non faccio in tempo a chiudere gli occhi che crollo. Il penultimo pensiero, sempre, è per mia figlia, Camilla. Ha dieci anni e due occhioni così. Mi chiedo, ogni notte, tutte le notti, se io e mia moglie abbiamo fatto il nostro dovere con lei. Se le scelte adottate sono le migliori per lei. Se la stiamo aiutando a crescere sana. Se, soprattutto, questa è la città in cui vogliamo che cresca. Da un po' mi rispondo che forse posso darle di meglio, ho il dovere di farlo. E a me piace sognare".
"Il mio Maestro, Guido Polidoro, ripeteva sempre che "si studia una vita per diventare cronisti ma spesso non ci si riesce". Ecco: lo studio. Questa è la declinazione del giornalismo, oggi come ieri, nei momenti d'oro come in quelli bui come l'attuale, che ci vede duramente contrapposti agli editori, in particolare per quanto riguarda la precarietà della professione per le giovani leve. Questo è quello che la nostra "generazione" di giornalisti non riesce ad insegnare alle giovani leve, distratta forse da una crisi soprattutto morale: non c'è più dialogo, non c'è più voglia di fare, non c'è più voglia di sperimentare. Mancano punti di riferimento certi, i "maestri" insomma. Cosicchè qualcuno, in città, pensa che essere cronisti significhi imbucarsi ad una "succulenta cena" offerta dal potente di turno, sfoggiare il permesso per l'isola pedonale, entrare gratis al cinema ed allo stadio. Molti problemi di una professione che sta cambiando pelle sono oggettivi ma molti sono anche soggettivi. In una città di provincia come la nostra, risaltano di più".
Giornalista, ma anche scrittore da qualche anno. Forse per essere più te stesso, oppure per evadere dalla routine della cronaca quotidiana? O per una "chiamata" vocazionale?
"Per me che, a 15 anni, sono entrato in una redazione fumosa di un quotidiano nella quale c'era "il Capo" che, in meno dieci minuti, componeva un editoriale perfetto e senza il benchè minimo refuso ticchettando a dieci dita sulla tastiera di una "lettera 22", per me la scrittura è tutto. E' l'oggi, è il domani. Qualche anno fa ho sentito una spinta dentro e l'ho seguita. Così ho iniziato un percorso: dal libro sul caso Perruzza ("Una lunga cronaca durata 13 anni scritta da un cronista d'altri tempi" la definì Amedeo Esposito) al saggio "Da Tragnone a Fidel Castro", ovvero l'opera a cui tengo di più perché lì dentro c'è il mio più che ventennale lavoro quotidiano di giornalista. E perché c'è una sperimentazione che potesse consentirmi di tentare di guadagnare un mare aperto (il romanzo) dopo aver conosciuto a fondo un porto (gli articoli). Scrivere è sperimentare: se stessi, l'oggi, il domani, la vita. Inevitabile, forse, il salto nella narrativa. Salto senza rete? I lettori, sempre loro, sono i giudici e diranno se "La maschera di Celestino" ed il nuovo "La missione di Celestino" hanno diritto di cittadinanza".
Come giornalista tra i migliori in Abruzzo, e scrittore spiritoso e arguto, quale soddisfazione hai assorbito, e gustato, di più? L'ossequio dei potenti, i complimenti dei lettori, l'invidia di alcuni colleghi?
"L'invidia non mi appartiene e non la giustifico, alla luce soprattutto del momento di crisi che, a livello nazionale ma anche locale, attraversa la nostra categoria che, al contrario, dovrebbe unire le forze per cercare di superare i problemi e tornare ad essere un contropotere credibile, un "cane da guardia" efficace. La soddisfazione più grande? La menzione speciale nell'ambito del "Premio Polidoro" del 2004, per il volume "Da Tragnone a Fidel Castro". Dice, tra l'altro, la menzione: "Il continuo richiamo al 'capo' e al 'maestro' che De Nicola fa nel suo racconto sono la testimonianza più vivida della risorsa umana, prima ancora che professionale, che Polidoro ha saputo positivamente infondere in decine e decine di giovani che si sono avvicinati al giornalismo fino a farne la loro professione e vita"".
De Nicola, su un giornale normale, in un giorno normale, dietro e tra le righe, quanta verità c'è? E' possibile scrivere sempre e comunque la verità? Oppure ci piace crederlo e farlo credere?
"Il cronista ogni giorno commette errori, spessa s'indigna quando non dovrebbe, a volte si lascia sopraffare da simpatie ed antipatie, non riesce a liberarsi da preconcetti. Insomma il giornalista è un uomo con dei limiti che perciò non può e non deve sbandierare l'obiettività, concetto che quando si cita nel giornalismo è solo per truffare i fruitori del messaggio perché l'obiettività non esiste. Io rivendico la mia buona fede. Ho sbagliato e spesso sbaglio ma mai per partigianeria o per favorire e-o sfavorire qualcuno o qualche posizione invece di un'altra. E, che mi si creda o no, da quando nel 1996 ho assunto la responsabilità della redazione dell'Aquila del Messaggero, nelle innumerevoli campagne elettorali (una decina) che ho "gestito", non ho mai, ripeto mai, subìto pressioni di sorta, tranne che in un caso, per una tornata delle Politiche, da una candidata che si fece "raccomandare" dall'editore, anche se solo per avere un occhio di riguardo".
L'Aquila, città indubbiamente malata, sofferente, defedata, arrancante. Ci sono colpe, responsabili da additare, ma anche rimedi da adottare?
"C'è solo un rimedio: unire le forze, superare le divisioni (centrodestra-centrosinistra, neri-verdi, rossi-blu) e ritrovare quella compattezza che, in passato, ci ha fatto grandi soprattutto nei momenti difficili. Per farlo occorre superare la rassegnazione che nulla possa cambiare. "Immota manet", è vero; ma se lo colleghiamo al "PHS" del nostro stemma, nell'interpretazione che a me piace secondo la quale l'acronimo sta per "Publica Hic Salus", allora il concetto diventa: "Restiamo fermi a difesa della salute pubblica". Fermi e uniti e, forse, possiamo farcela. Quanto a colpe e responsabilità, che ci sono forse anche tra chi (noi giornalisti) non ha fatto abbastanza, vanno certo ricercate ed analizzate ma solo per guardare avanti, non per fare prigionieri. La "guerra" per sopravvivere e cercare di vivere meglio deve essere fatta semmai contro gli altri, non tra di noi".
Si dice che Angelo De Nicola sia lucidamente e razionalmente intenzionato a dire la sua e a dare una mano per aiutare la città. Naturalmente, in politica. Che c'è di vero?
"Più vero che falso. E chi non lo farebbe, in questo momento? Chi non ascolterebbe questa rabbia dentro, come accade a me che, da un osservatorio "privilegiato" quale è la redazione di un giornale, vede passare sotto i propri occhi una città sbranata, lacerata, spenta? Chi non si ribellerebbe a guardarla negli occhi, questa città diventata triste, che non "parla" più dopo che proprio sul "dialogo", in passato, aveva fondato la sua forza? Una città che oggi è capace di entusiasmarsi solo per l'apertura di un centro commerciale. Più che dare una mano, vorrei dare una voce a quella richiesta di impegno civile che percepisco anche quando, in redazione, raccolgo al telefono lo sfogo di cittadini schiacciati sotto la cappa d'impotenza che aleggia sulla città. Ecco, vorrei aggregare quei cittadini perbene (tanti) ma che non hanno la consuetudine di esporsi. Unire, non dividere. Mediare, non spaccare. Per far questo, con altri, ho dato vita ad un "movimento" che abbiamo chiamato "L'Aquila Città Unita" (uniti soprattutto tra di noi) che sta cercando di crescere e di avere un suo peso soprattutto di progettualità. Io, nonostante tutto, sono ottimista: L'Aquila ed il suo territorio ce la possono fare. Almeno vale la pena tentare: io sono pronto. E non dico, come molti fanno, che "me lo chiedono, mi implorano!". Lucidamente e razionalmente ho ipotizzato un progetto e sono pronto a rischiare fino in fondo. E siccome la morale una è, da un mese e mezzo mi sono dichiaratamente autosospeso dal trattare l'argomento della politica cittadina sulla pagina del mio giornale".
Se è vero, accanto a chi? Ci saranno pure cervelli e potenti pronti a dare un impulso, un contributo? Penso ai pochi che contano e possono: davvero pochi...
"I movimenti e le liste civiche, storicamente, non hanno mai avuto successo nella nostra città. Basti ricordare la grande occasione perduta con l'avvocato Attilio Cecchini candidato sindaco nel 1994, un gigante morale, professionale, intellettuale. Sicchè è necessario un progetto politico. Un progetto nuovo, fresco, moderato e che soprattutto dia spazio ai giovani che, dopo l'esperienza dei padri, si misurino finalmente con la gestione della loro città".
Hai sicuramente già aiutato la città con le tue iniziative editoriali, gestite con capacità e intelligenza anche manageriale. E con il tuo giornale, Il Messaggero. Altri direbbero: "Ho già dato".
"Cosa ho fatto se non il mio dovere di cittadino? Potevo fare qualcosa, ebbene l'ho fatta. Potevo dare un contributo alla Perdonanza, organizzando dei tour gratuiti sui luoghi del mio romanzo, ebbene l'ho fatto collaborando, e ne sono orgoglioso, a titolo gratuito. Potevo raccogliere fondi per la "Missione" in Africa intitolata a Celestino V, ebbene l'ho fatto. Potevo diffondere la valenza della Perdonanza (per la quale, ahimè, abbiamo fatto notizia ma solo per gli scandali) esaltata nei miei due romanzi, ebbene l'ho fatto in una quarantina, finora, di conferenze e incontri in giro per l'Italia di cui una quindicina, con mio grande orgoglio, nelle scuole. Potevo proporre un sito Internet che fosse tutto sbilanciato sulla città, ebbene l'ho fatto. No, non ho aiutato la città: ho solo provato a "leggerne" le opportunità ed a metterne in rete le enormi potenzialità. Opportunità e potenzialità che, attenzione, appartengono a tutti. Immaginate se ogni cittadino, nel suo piccolo, facesse lo stesso! Se tutti pulissero i dieci metri davanti alla propria abitazione, la città sarebbe uno specchio. Immaginate se questo metodo fosse fatto proprio da tutti gli amministratori pubblici! Sì, un sogno. A me piace sognare. A quarant'anni devo sognare".
Parlano di un sindaco ormai disincantato, quasi annoiato, distratto. Sarà vero? Vedi Tempesta in questa situazione psicologica? Gli somiglia il ritratto tracciato di recente da Giustino Masciocco?
"Nove anni sulla tolda di una nave, peraltro in acque mai tranquille, sfiancherebbero la fibra psicologica di qualsiasi capitano. Tempesta ha avuto l'occasione di una sua uscita onorevole quando, l'anno scorso, per due volte si è dimesso per candidarsi alla Camera in base alla considerazione, opinabile ma comunque dettata da motivazioni politiche, ovvero "L'Aquila soffre perché non era ben rappresentata in Parlamento". Dopo che il suo partito, Forza Italia, ha tagliato la faccia a lui ed alla città capoluogo (e il centrodestra, col suo assordante silenzio sulla questione, ha certificato il suo declino), Tempesta non ha scelto la strada dell'uscita di sicurezza dignitosa ma del rientro con la coda tra le gambe: il viale del tramonto, inevitabile per chiunque, è duro da percorrere".
E' un luogo comune dire: destra e sinistra si somigliano. Fanno e dicono cose simili. Non è che per certi malati, la medicina da prescrivere è comunque una sola?
"Nella situazione, grave, in cui versa la nostra città non è questione di destra e di sinistra ma di questi partiti e dei loro esponenti che non riescono a dare risposte anche perché tengono fuori le energie vive. La "medicina" è un progetto nuovo, fresco, condiviso, unitario con dentro persone che siano perbene e decise a volare alto. In una parola: tignose. Un progetto "trasversale" ma nel senso buono del termine".
Hai scelto un giornalismo moderato, misurato, anche se talvolta "spari" dei corsivi acuminati. Te lo chiedono direttori e capi redattori, o è una scelta personale?
"Non ho mai avuto pressioni, indicazioni o "consigli" per scrivere questo o quello. Se ho sbagliato, è colpa mia. E per sbagliare il meno possibile, occorre studiare: mettersi sempre in discussione".
Ti distingui per essere un signore della penna, non immemore di persone e firme del passato. Sai che nel nostro mestiere si tende a impugnare il badile per seppellire chi è ancora vivo. Carattere, o lucida decisione?
"Il passato, la memoria sono la nostra identità. Giornalisti come Polidoro, Esposito, Carli, Colacito hanno fatto la storia non solo del giornalismo abruzzese, ma la storia della nostra regione attraverso i loro articoli. Signore della penna? Mi piacerebbe, a fine carriera, poter essere ricordato così: quest'arma, la penna, è capace di uccidere le persone. Se lo si fa intenzionalmente è omicidio".
L'ultimo pensiero la notte, prima di dormire. E magari anche un desiderio di sogno telecomandato...
"La notte, a tarda ora per le mai troppe buone letture ed al termine di giornate affannate, non faccio in tempo a chiudere gli occhi che crollo. Il penultimo pensiero, sempre, è per mia figlia, Camilla. Ha dieci anni e due occhioni così. Mi chiedo, ogni notte, tutte le notti, se io e mia moglie abbiamo fatto il nostro dovere con lei. Se le scelte adottate sono le migliori per lei. Se la stiamo aiutando a crescere sana. Se, soprattutto, questa è la città in cui vogliamo che cresca. Da un po' mi rispondo che forse posso darle di meglio, ho il dovere di farlo. E a me piace sognare".
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