IL PAPA APRIRÀ LA PORTA SANTA, ORA PUÒ CAMBIARE IL PIL DELL’ABRUZZO

La mia analisi sul Messaggero Abruzzo di oggi:

Il sogno che un Papa, dopo 728 anni, venisse ad aprire la Porta Santa di Collemaggio, s’è cominciato a coltivarlo per davvero fin dalla prima edizione della Perdonanza Moderna, nel 1983. Un sogno sì, ma come in una sorta di rassegnazione, alla luce dell’evidente imbarazzo che la figura di Celestino V suscitava nella Chiesa per quelle sue clamorose dimissioni. Nessuno ci ha mai creduto fino in fondo. Nè la Curia, nè il Comune, nè il popolo aquilano.
Poi, le dimissioni di Benedetto XVI hanno rilanciato quel sogno alla luce soprattutto della “riabilitazione” di Pietro del Morrone fatta da Papa Ratzinger che seguiva quella avviata negli anni Sessanta da Paolo VI entusiasta del “povero cristiano” di Ignazio Silone. Dunque, sarà Francesco a chiudere definitivamente il cerchio della riconsacrazione di questo “povero cristiano” e, soprattutto, del suo messaggio di straordinaria attualità in questi drammatici giorni di guerra.
D’altra parte il rapporto tra Francesco e Celestino V non è stato di poco conto nè superficiale. Peraltro ci sono due singolari coincidenze tra i due. La data del 13 dicembre (giorno di Santa Lucia) quando Celestino V dà le dimissioni da pontefice e Jorge Mario Bergoglio, nel 1969, riceve l’ordinazione sacerdotale. Inoltre, Francesco ha aperto la prima Porta Santa del Giubileo straordinario della Misericordia, prima ancora di farlo a Roma, nel novembre 2015 in Africa: ebbene, tra migliaia di posti, ha scelto proprio Bangui, ovvero la capitale della Repubblica del Centroafrica dove, da trent’anni, c’è la missione delle Suore Celestine dell’Aquila intitolata a Celestino V.
Bergoglio ha avuto parole importanti per il suo predecessore, mettendolo in correlazione con San Francesco. Ha detto durante la visita in Molise nel 2014, eleggendo l’Eremita addirittura a modello: «C’è un’idea forte che mi ha colpito, pensando all’eredità di San Celestino V. Lui, come San Francesco di Assisi, ha avuto un senso fortissimo della misericordia di Dio, e del fatto che la misericordia di Dio rinnova il mondo».
Con il gesto di Francesco, oggi, la città distrutta 13 anni fa dal sisma, può far nuovamente cambiare a suo favore il corso della Storia. Anzi, può contribuire a cambiare il Pil dell’intero Abruzzo.
Angelo De Nicola
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EVENTO EPOCALE

+++ PAPA FRANCESCO APRIRA’ LA PORTA SANTA DI COLLEMAGGIO. Noi siamo pronti con un libro ah hoc… State collegati

Mons. Giovanni D’Ercole e quella prefazione dal titolo “Un mite pericoloso”…

Il vescovo ausiliare dell’Aquila mons. Giovanni D’Ercole partecipa con altri cittadini dell’Aquila alla rimozione delle macerie del terremoto da piazza Palazzo. E’ il 14 marzo 2010 FOTO CLAUDIO LATTANZIO / ANSA / LI

Oggi mons. Giovanni D’Ercole si è dimesso da vescovo di Ascoli Piceno. Già Arcivescovo ausiliario all’Aquila, monsignor D’Ercole ha fatto personalmente l’annuncio “choc” in un video ma la sua «scelta difficile, sofferta ma profondamente libera», come da lui stesso affermato, l’aveva comunicata qualche giorno fa al Santo Padre.
Un passo indietro come «atto di fede per un amore più grande verso tutti e ispirata al servizio della Chiesa e non a un puro interesse personale», questa la motivazione della sua decisione. Avvenuta, come ha fatto presente, «in un momento difficile in cui regna tanta confusione e paura».
Si ritira, al momento, in u monastero in Africa (dove ha iniziato il suo sacerdozio nella Piccola Opera di Don Orione, la congregazione a cui appartiene) «per pregare per tutti ed essere più vicino a tutti meditando su un futuro apparentemente incerto ma che con l’aiuto di Dio non lo sarà affatto».
Ecco cosa scrisse, profeticamente, D’Ercole nella prefazione al mio libro “Il Mito di Celestino” (2010, One Group):

UN MITE PERICOLOSO


La notte del 6 Aprile 2009 la terra ha aperto una enorme voragine nel transetto della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, facendo crollare principalmente gli unici elementi barocchi sopravvissuti al restauro degli anni 70, restauro che ripristinò l’originale assetto medievale, rimuovendo la soffittatura seicentesca.
Gli occhi del mondo erano tutti rivolti con dolore alle macerie che riempivano l’area presbiteriale della basilica, all’organo stritolato dalle rovine, alla cupola svanita in una nuvola di polvere, alla ferita aperta verso il cielo…
Cosa avrebbe visto Pietro Celestino…? Lì, dove un tempo, secondo la leggenda, aveva sognato una scala d’oro salire verso la volta celeste, dove la Vergine Maria attendeva circondata dagli Angeli, uno squarcio nel transetto aveva permesso ai raggi del sole di entrare con irruenza e senza alcun filtro…
Dove tutti hanno visto una dolorosa ferita, lui, forse, avrebbe visto un segno… l’apertura di una porta, una porta verso il Cielo… come se fosse arrivato il tempo di cambiare punto di vista.
Alzare gli occhi al cielo, quando gli occhi di tutti gli uomini sono rivolti al suolo non è facile. Venerare i piedi degli angeli quando tutti gli uomini venerano solo fama e ricchezza è ancor più difficile.
Ricercare la purezza, in un mondo dove vigono i dettami dell’egoismo, non può che creare scandalo.
Scandalosi furono i grandi profeti, scandaloso fu Giovanni Battista, scandaloso il Messia, il Suo Insegnamento e il Suo sacrificio, scandalosi i primi Cristiani, scandaloso San Francesco, scandalosi buona parte dei Santi.
Scandalosi perché ribelli alle leggi degli uomini, ma sempre fedeli all’unica Legge, quella Divina.
Scandalosi perché capaci di vivere nel Mondo, senza però ad esso appartenere.
Scandalosi perché al servizio, non della propria gloria, ma della Gloria del Signore.
Scandaloso fu anche Pietro del Morrone.
In un’Era di Ferro, come la nostra, dove il materialismo dilagante riduce spesso la Fede a puerile superstizione, diventa sempre più difficile inquadrare un personaggio come Pietro del Morrone.
Gli storici difficilmente credono nei miracoli, difficilmente credono nella Provvidenza, anche quando ne menzionano l’intervento. Cercano sempre una ragione umana dietro ad ogni evento, provano a scoprire gli interessi materiali che si celano dietro i presunti miracoli narrati dalla tradizione e dalle leggende.
Un Pietro Celestino, che nella sua vita ha cercato di mettersi al servizio della volontà divina, diventa così difficile da capire e da spiegare. Non può che apparire un illuso, un sognatore, un integralista del Vangelo, amato dalla folla, ma in eterno conflitto con l’istituzione ecclesiastica dove, in quel tempo, i compromessi e gli intrighi erano all’ordine del giorno.
L’immagine di Pietro, suffragata da molti storici, è difatti quella del “povero cristiano”, dell’uomo “semplice e non litterato” che “delle pompe del mondo non si travagliava volentieri”, dell’eremita rozzo e solitario, inadeguato al papato, ignaro delle consuetudini della società, privo di capacità organizzative e vittima inconsapevole delle trame dei potenti.
E’ questo il mito di Pietro. Ridotto a fanatico della Fede, isolato dal Mondo e dal Mondo sfruttato e poi dimenticato. Considerato sempre inadeguato ad un papato a cui è giunto per un’ironia del destino o, tutt’al più, per un pianificato intrigo dei potenti.
L’unico gesto degno di nota fu la Rinuncia al Papato che, la tradizione dantesca, ricorda come scandaloso atto di viltà, mentre gli storici contemporanei, considerano il solo gesto eroico compiuto dal vecchio e stanco eremita. Un atto di ribellione nei confronti di un sistema corrotto di cui non voleva essere un fantoccio.
Ma è giusto sminuire sbrigativamente in questo modo la figura di Pietro Celestino? Era davvero incapace e all’oscuro delle problematiche del mondo? Fu davvero l’uomo sbagliato al momento sbagliato?
Pietro non poteva essere così sprovveduto rispetto al mondo in cui viveva. Il suo cuore sapeva che ogni uomo è l’artefice del proprio destino e che la storia è fatta dagli uomini, dai loro sogni e dai loro interessi. Pietro conosceva perfettamente il dono di Dio che si chiama libero arbitrio. Dono grandioso e tremendo al tempo stesso, dato che Dio ci lascia liberi di percorrere i mille vicoli ciechi dell’errore, dell’errare… ci lascia liberi di conoscere il Male per scoprire il Bene, ci lascia liberi di assaporare il Frutto della Conoscenza.
Ma Pietro sapeva anche che, in questa libertà, il Padre non abbandona mai i suoi figli. Invia continuamente Anime più evolute per rivelare la Via d’uscita dal labirinto del dolore e della Separazione.
I maestri, Santi e Profeti, sono come frecce di cui bisogna seguire la traccia luminosa lasciata nel cielo e sulla Terra, indicano la direzione, sgombrano il cammino quando è necessario, ma non possono percorrerlo al posto degli uomini. Ogni uomo deve affrontare autonomamente la propria strada.
E Pietro sapeva di dover essere uno di quei fratelli che gridano forte nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Aveva sentito il richiamo di Dio e, anche se per eccesso di umiltà aveva cercato sempre di respingerlo, sapeva che doveva essere una guida.
E’ difficile credere che fosse “non litterato” dato che aveva studiato fin da piccolo, che era stato educato nel prestigioso monastero di Faifoli e che aveva risieduto diversi anni a Roma per diventare sacerdote. Difficile dato che studiava continuamente la Bibbia, come rivela il codice che non abbandonava mai. Difficile visto che nei monasteri della sua congregazione, in rispetto della regola benedettina, oltre al lavoro si era molto attenti allo studio. Difficile crederlo dato che, eletto papa, istituì la Perdonanza, rivoluzionando le usanze della Chiesa, e ristabilii la costituzione Ubi Periculum, per l’elezione dei successivi papi, onde evitare le lungaggini ed i problemi che avevano preceduto la sua elezione.
Lo studio, per Pietro, non era sufficiente per avvicinarsi a Dio. Aveva bisogno anche del contatto diretto, della preghiera, dell’ascetismo, del silenzio. Per questo scelse la vita eremitica. Doveva ascoltare Dio, comprendere man mano il compito a cui era chiamato. Doveva anche isolarsi, per ripulirsi dalle scorie del mondo e ricaricarsi di Spirito per tornare ad operare nel mondo.
Oltre a non essere così illetterato, Pietro non era nemmeno all’oscuro dei giochi dei potenti e delle necessità della società.
Ispirato da Dio, fu lui a decidere di fondare una congregazione. Fu lui a chiedere il consenso a papa Urbano IV. Lui per impedire poi che l’ordine fosse cancellato andò, anni dopo, a piedi a Lione e riuscì ad ottenere il favore del papa. Se veramente fosse stato indifferente ai bisogni della società, non avrebbe compiuto queste scelte e fatto tanti sacrifici. A Sulmona, difatti, dove aveva fondato la sua comunità di anacoreti, si era dimostrato un abile organizzatore, distinguendosi anche come costruttore e restauratore di monasteri, nonché bonificatore di terre, costruttore di mulini…
Nel 1278, fu chiamato dall’arcivescovo di Benevento Capoferro, a riorganizzare il monastero di Faifoli vicino Campobasso, lo stesso dove era stato educato. Qui Pietro si occupò di riconciliazione fra i monaci, del restauro del monastero e del recupero dei beni. E realizzò tutto in un solo anno. A Faifoli fu anche vittima dei soprusi del barone di Montagano, Simone Santangelo, e dovette chiedere protezione al Re Angioino, dal quale fu esaudito. Pietro si era guadagnato da Carlo d’Angiò il titolo di “devotus noster”, aveva giurato a lui fedeltà. Dopo Faifoli si recò al monastero di S.Giovanni in Piano, nei pressi di Apricena (Foggia) per eseguire una stessa operazione di restauro.
Per non parlare dell’edificazione della Basilica di Collemaggio con il monastero annesso, degli eremi sulla Majella, Sant’onofrio, San Bartolomeo, dell’abbazia morronese di Santo Spirito. La sua congregazione crebbe ricevendo anche i monasteri romani di San Pietro in Montorio e Sant’Eusebio all’Esquilino. E dopo la morte di Pietro la congregazione sopravvisse per diversi secoli espandendosi sempre più in Italia, Francia e Germania.
Quindi Pietro conosceva il mondo e le sue necessità. Sapeva benissimo confrontarsi con papi e re e riusciva ad ottenere, con l’aiuto di Dio, ciò che serviva alla sua congregazione, alla sua missione evangelica.
Anche se alle volte risultava burbero nei confronti di chi gli chiedeva un miracolo, Pietro era in realtà un uomo dalla profonda sensibilità e conosceva bene l’animo umano. Era un grande guaritore, aspetto che spesso passa in secondo piano, ma che è ampiamente testimoniato dal processo di canonizzazione. Dagli atti, Pietro rivela una conoscenza molto evoluta della malattia, che oggi trova risonanza con la medicina psicosomatica e olistica. Pietro considerava spesso la malattia del corpo quale risultante di una malattia dell’anima, di una prevaricazione degli aspetti oscuri dell’uomo. Il miracolo veniva concesso da Dio solo e soltanto quando l’anima era pronta a cambiare, a riequilibrare lo squilibrio del cuore, a redimersi dal peccato.
Affascinato dalla Spiritualità benedettina, decise da ragazzo di realizzarla con la vita eremitica, anch’essa prescritta nella Regola di Benedetto e per la quale chiese alla congregazione a cui apparteneva la regolare “licentia”. Aveva bisogno di ascoltare la voce del Signore, rimanendo però sempre legato alla Chiesa e ai suoi dettami. Così anche divenne sacerdote a Roma e, ovviamente, per la sua congregazione si sottometteva sempre alla volontà dei suoi superiori, Vescovi e Papi.
Quello che Pietro rifiutava erano gli abusi del potere, quelli nati dalla piccolezza dell’ego.
Pietro accettò l’elezione al soglio pontificio ascoltando il volere del suo unico Signore, accettò consapevole di entrare nella stanza dei bottoni, laddove tutti bramano intrufolarsi e per questo son disposti alle più grandi nefandezze.
Pietro capì di essere spinto da Dio ad un’operazione ben difficile. A realizzare le profezia del “Pastor Angelicus” di Gioacchino Da Fiore. A soddisfare le aspettative di un’umanità che voleva un’era nuova, un’era di pace. Pietro sapeva che era chiamato a far trionfare la Chiesa Spirituale su quella Carnale.
Si fece incoronare all’Aquila, dove entrò a dorso di un asinello, seguito da due sovrani a cavallo. Gesto simbolico, di umiltà, come Gesù a Gerusalemme prima della sua passione. Gesto che già rivelava l’intento spirituale del nuovo papa.
Appena eletto riequilibrò a suo favore il Sacro Collegio, dandogli una forte connotazione monastica benedettina. C’era sì la necessità di favorire il re Angioino che lo aveva portato al soglio papale, ma sicuramente voleva dare una nuova impronta alla Chiesa, più legata ai valori monastici, slegandola dai conflitti e dagli interessi economici delle potenti famiglie romane.
La Perdonanza fu il grande atto che rivelò la sua missione. La Perdonanza porta in sé il cuore del messaggio Cristico, il perdono che permette di cambiare, di diventare Uomini veri.
La Perdonanza fu un atto sconvolgente. Un’indulgenza senza prezzo legata ad una spiritualità fuori dal comune.
I maestri non percorrono mai il cammino al posto dei loro allievi. E la rinuncia al papato potrebbe essere letta come un ulteriore segno, lasciato agli uomini, da un Pietro che si spoglia degli aspetti pesanti della Chiesa e torna ad indossare il suo saio da monaco eremita, sapendo che quel gesto, in un modo o nell’altro, l’avrebbe pagato con la vita.
Assassinato o meno, poco importa. La prigione era già una morte, se non altro sociale, che aveva accettato perché più importante era la sopravvivenza della Chiesa che porta con sé il messaggio del Cristo.
Un gesto che solo una grande intelligenza, un grande cuore e una grande anima potevano compiere.
Mons. Giovanni D’Ercole
L’Aquila, 2010

Il romanzo “La missione di Celestino” – Capitolo 18 (Parte Seconda) – FINE

La Missione in Africa, intitolata a Celestino V, delle Suore Celestine del Monastero di clausura di San Basilio dell’Aquila

Il pesante portone si chiuse, fragorosamente, alle loro spalle.
«Che prove ha?» chiese il sovrintendente, a testa china e senza nemmeno guardare il suo amico.
«Non è questione di prove. E’ tutto logico. Troppo logico. Non può che essere così».
«Allora dobbiamo sporgere denuncia». …

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Il romanzo “La missione di Celestino” – Capitolo 17 (Parte Seconda)

Le Suore del Monastero di clausura di San Basilio dell’Aquila accolgono, nella Perdonanza 2018, il noto cantante Riccardo Cocciante che riceverà, in una toccante cerimonia nella chiesa provvisoria del convento, il premio della “Croce di Celestino” del Lions Club dell’Aquila

L’orto era nel suo splendore primaverile. Per arrivarci, la Superiora aveva fatto passare i due ospiti tra i meandri del monastero mostrando loro, in particolare, gli affreschi più antichi e soprattutto quelli raffiguranti San Benedetto e San Basilio, un altro san Giovanni Battista e un San Michele Arcangelo (anche qui, pensarono il signor Giacomo e il sovrintendente, guardandosi negli occhi).
Abbacinati dal sole alto, i tre rientrarono nel convento e la Superiora li fece accomodare in una saletta che precedeva il refettorio. «Dico a suor Valeria di prepararvi il caffè. Torno subito» disse la Badessa scomparendo dietro la porta del refettorio.
Trascorse un lungo attimo di silenzio.
«Perché non mi ha detto nulla?» chiese, a voce bassa e guardandosi bene attorno, il signor Giacomo, dopo aver fatto finta di leggere un opuscolo (“Missione Oggi”) che era sul tavolo.
«Detto cosa?».
«Che la Superiora conosce lei benissimo». …

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