Pasqua in zona rossa come dodici anni fa

La zona rossa in piazza San Pietro all’Aquila dopo il sisma del 6 aprile 2009 (Foto Renato Vittuiini)

Ecco il mio commento oggi sul Messaggero
sul 12.mo anniversario del sisma del 6 aprile 2009

Zona rossa. E’ una dimensione che ormai fa parte del Dna degli aquilani. Quindi, il Dodicesimo Anno D.T. (Dopo Terremoto), il secondo anniversario nell’éra Covid, non ha un effetto dirompente (caspita, già dodici anni! Già un anno dal primo lockdown?!).
Quello che invece buca lo stomaco di chi (gli aquilani, i fuorisede, chi era nel cratere) ha vissuto quella tragedia anche dell’anima, è l’ingorgo con la Pasqua. Impossibile far rimarginare la ferita della coincidenza 6 Aprile/Santa Pasqua.

Un po’ come avvenne nella precedente storica tragedia del 1703, quando la coincidenza di quei giorni del 2 febbraio, determinò la morte del carnevale in una città che “venerava” questa festa (e quale comunità non venera il divertimento collettivo autorizzato?). Il carnevale aquilano risulta, tutt’oggi, il più corto del mondo in segno di lutto ormai trecentenario. Quel lutto (oltre 6mila vittime) che fece addirittura cambiare i colori cittadini da bianco/rosso a nero (il lutto, appunto)/ verde (la speranza).

Chi è scampato alle 3.32 del 6 aprile non potrà mai dimenticare i funerali di Stato delle 309 vittime ufficiali di quel Venerdì Santo, nè quella successiva domenica di Pasqua. Oggi, dodici anni fa.


Scrissi sul diario di uno sfollato che tenevo per il Messaggero:
“Per Pasqua abbiamo lasciato Francavilla e siamo andati alle “Hawaai”… Lo stabilimento balneare per antonomasia degli aquilani a Silvi Marina, le Hawaai appunto, domenica sembrava una trattoria ai piedi del Gran Sasso. Una bella mangiata di pesce, in riva al mare, al posto del tradizionale agnello pasquale alla base della Funivia. Il pranzo di Pasqua l’ho organizzato io (sono fissato con le riunioni familiari che tanto piacevano ad entrambe le mie due nonne, una D’Amario da Sulmona e una Fusari da Tornimparte, che hanno vissuto solo per la famiglia) a Silvi dove sono sfollati i miei genitori e la famigliola di mio fratello la cui moglie ha avuto lutti a Tempera. E ho fatto bene. Perché che la Pasqua, questa Pasqua e le prossime, per noi terremotati saranno sinonimo di apocalisse, altro che Resurrezione!, lo sappiamo.
Ma la vita continua. E allora tutta la famiglia a Silvi, già “new town” per molti aquilani. Sergio, il titolare delle Hawaai, ci ha fatto uno sconto grosso così. Ha voluto pagare mio padre per tutti: «Quando finiranno i miei soldi- ha detto- mi aiuterete voi figli». Buon segno perché “Sciabolone”, come lo chiamano i miei amici che ne venerano la sua totale abnegazione a figli e nipoti, stenta a riprendersi sotto il profilo psicologico: nella zona di San Pietro, pieno centro, attorno a casa sua è stata solo morte tra i tanti anziani; poi, non ha avuto mie notizie per ore nel mentre apprendeva che via Sant’Andrea, nella zona di via XX Settembre, dove abitavo, era tra le più colpite dai crolli, e dopo aver visto lo sguardo di terrore di mio fratello al quale, in via D’Annunzio, era collassato il palazzo a fianco; quando mi ha visto arrivare con la testa spaccata, quasi sveniva con mamma; eppoi casa sua sventrata: gli sforzi di una vita dedicata ai figli andati in fumo. Papà- gli ho detto- sei sempre stato il nostro punto di riferimento: se crolli tu, siamo fregati. Caccia quello che devi cacciare e andiamo avanti. Fallo per i tuoi nipoti!”.

Rileggo e piango. Oggi come allora. E’ Pasqua. In zona rossa. Oggi come allora. “Andrà tutto bene…”.
Angelo De Nicola
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Adriano, un simbolo

vedi il post
https://www.facebook.com/ilmessaggeroabruzzo/posts/256163826050962

Ecco il testo del mio articolo di oggi sul Messaggero:
Era uno dei simboli della resilienza dell’Aquila dopo il drammatico terremoto del 6 aprile. Per quel suo strenuo lottare, paralizzato sopra una sedia a rotelle da uno sfortunato incidente giovanile su una pista di motocross, a favore dei diritti dei disabili. Adriano Perrotti, se l’è portato via il Covid-19 a 56 anni in quel terribile autunno anche per una città, L’Aquila, che aveva passato senza gravi emergenze la primavera e l’estate della pandemia. La morte di un simbolo: un po’ per le tante sofferenze sopportate sempre col sorriso e un po’ per quel dedicarsi ai non fortunati.

«Uno dei personaggi più incisivi e caratterizzanti della nostra comunità- secondo il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi-. Preziosi sono stati i suoi suggerimenti e stimoli nel percorso che ha portato all’istituzione del disability manager, figura che oggi rappresenta un patrimonio collettivo di questa terra. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme». E la senatrice dem Stefania Pezzopane: «Resta il suo sorriso, la sua voglia di vivere, le sue battaglie per le persone con disabilità».

Il suo compagno, in carrozzella, di tante battaglie, Massimo Prosperococco: «Ho sperato che avrebbe passato anche questa e che sarebbe entrato a far parte degli Highlander; avevo già la battuta pronta per quando ci saremmo risentiti, ci ripetevamo “Adriano è invincibile” anche perché aveva vicino la forza della sua bellissima famiglia». Lo ha sconfitto il Covid.
Angelo De Nicola
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Gran Sasso, asta a sei zeri per la “prigione” del Duce

La “Villetta” a Fonte Cerreto (L’Aquila)

Il mio articolo sul Messaggero (Edizione Nazionale) del 23 febbraio 2021 sulla vendita all’asta della villetta sul Gran Sasso in cui il Duce fu tenuto prigioniero

L’AQUILA Non c’è pace per il Gran Sasso mussoliniano, nel senso non nostalgico ma storico del termine. Fermo da tempo e, ormai cadente, l’albergo di Campo Imperatore, a duemila metri di quota, nella cui suite il Duce venne tenuto prigioniero («La prigione più alta del mondo» come lui stesso la definì); ferma la stagione sciistica (causa Covid, dopo la jattura dello scorso inverno non “baciato” dalle nevicate); ora viene anche messa all’asta la caratteristica villetta anni Trenta alla base della Funivia del Gran Sasso dove Mussolini fu fatto “acclimatare” per una settimana.

Alla caduta del fascismo, alle 17,30 del 25 luglio 1943, Mussolini fu arrestato da alcuni ufficiali dei carabinieri, su ordine di Badoglio, all’uscita da Villa Savoia, residenza del re Vittorio Emanuele III. Dapprima fu relegato a Ventotene (Latina), poi a Ponza. Il 7 agosto fu trasferito nella villa Weber della Maddalena in Sardegna, per poi, il 28 agosto, giungere a Vigna di Valle da dove, a bordo di un’ambulanza, raggiunse la base della funivia del Gran Sasso (fatta realizzare dal Regime nel 1934) a mezz’ora di auto (oggi molto meno con l’autostrada A24) dall’Aquila. Qui, in località Fonte Cerreto, 1.125 metri di quota, l’illustre prigioniero venne ospitato, per alcuni giorni, nella cosiddetta “Villetta”, una graziosa costruzione da cartolina (se ne trovano molte d’epoca su Ebay) così amata che ha dato il nome all’intera località (“La Villetta”, appunto) alla base della Funivia.

Forse per farlo acclimatare, o forse perché la «prigione più alta del mondo» non era ancora pronta, il Duce rimase in quella villetta fino al 6 settembre quando fu trasferito a Campo Imperatore, 2.130 metri di quota, dove sorge allora come oggi l’unico albergo della stazione sciistica, l’“Amedeo di Savoia” (fatto costruire dal Regime a forma di “D”, mentre rimasero solo sulla carta gli altri due fabbricati a forma di “U” e di “X”). Campo Imperatore era, ed è anche oggi, raggiungibile (ma solo d’estate: d’inverno ci sono metri di neve) anche in auto lungo la Statale 17bis che, se bloccata a valle, rende inaccessibile l’altopiano se non con la funivia (oggi le due cabine da 100 posti coprono il dislivello in sette minuti).

A Campo Imperatore, Mussolini rimase sette giorni, prima che la Wehrmacht, con l’audace “Operazione Quercia” in cui vennero usati degli alianti, lo prelevasse il 12 settembre 1943 per condurlo da Hitler, contrariamente ai desideri espressi dal Duce che avrebbe voluto tornare nella sua Predappio.

Quella villetta, il 20 aprile prossimo, su decisione del Tribunale dell’Aquila, andrà all’asta secondo il prezzo base stabilito di poco inferiore al milione e duecento mila euro. L’immobile con una torre a guglia con tetto spiovente, in quel 1943 era proprietà privata di Rosa Conti, gentildonna romana vedova Mascitelli che la riottenne dallo Stato, con un contenzioso, dopo oltre un anno dalla fine della guerra. Fu preservata dalla distruzione dei tedeschi che cancellarono le tracce del passaggio dell’illustre recluso. L’immobile, in seguito, passò di proprietà e divenne albergo e ristorante con varie gestioni locali fino a quella della famiglia degli imprenditori aquilani Fiordigigli. La proprietà attuale è proprio di questa famiglia che possiede anche il limitrofo albergo omonimo che aveva investito sul rilancio di Fonte Cerreto dotandolo persino di un centro benessere. Anche il “beauty” finirà all’asta per far fronte a problemi di liquidità. Tuttora nei locali è funzionante un bar-ristorante dato in locazione fino all’autunno del 2022.

Angelo De Nicola
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Capitale della Cultura 2022 a Procida: ma nessuno può togliere all’Aquila il primato della resilienza

Il mio commento sul Messaggero Ed. Abruzzo di oggi:

Partiamo da tre “verità”: una sconfitta si chiama sempre sconfitta; Procida evoca una “grande bellezza” ma in fatto di Cultura era, forse, l’ultima delle dieci realtà in gara; L’Aquila, e gli aquilani, hanno ormai perso, passati quasi dodici anni dal 6 aprile, quella suggestione emotiva che una città “martire” evoca.

Detto questo, non tutti i mali vengono per nuocere. Non sarebbe stato facile, e addirittura a rischio, dar corpo organizzativo, in questi giorni neri, al progetto. Avrebbero prevalso i se (se si potrà fare, se si tornerà alla normalità, se non peggiorerà…). Non solo. A metà del 2022 all’Aquila si voterà (se tutto andrà bene…) per il rinnovo dell’amministrazione comunale e, dunque, col rischio di gestire l’anno tra sovrapposizioni, screzi e veti incrociati.

Resta, invece, la “bellezza” di una battaglia che ha visto, almeno fino a stamattina quando, in pieno stile aquilano, ognuno ha tirato fuori la sua ricetta per non intestarsi una sconfitta che invece è di tutti, molte componenti cittadine unite e coese attorno a un obiettivo. Un po’ come avvenne, utilmente, nell’immediato post sisma.

E’ da qui bisogna ripartire. Da un tipo di progetto, forse il solo che si attagli al Dna di questa città, di sfruttare questi quasi 800 anni di storia, cultura, bellezza. E resilienza. Sì, la “Capitale della Resilienza” non ce la può togliere nessuno.

Al Comune tocca il ruolo di “faro” delle varie componenti (Università, Gssi, Fondazione Carispaq, Tsa, Accademia di Belle Arti, Camera di Commercio, Associazioni ecc.). Perciò, invece che sprecare energie a litigare sul nulla (così come avviene al Governo), sarebbe il caso di mettersi al lavoro non tanto per la gloria (il titolo di Capitale), quanto per il futuro (la pagnotta) soprattutto delle giovani generazioni. Magari strutturando subito un assessorato alla Cultura, attorno a una figura di spessore, che possa fare da locomotiva. Non è difficile.
Angelo De Nicola
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