Sisma 6 aprile 2009/ Quegli oggetti smarriti conservati ancora dal Comune in una scatola

Il mio articolo oggi sul Messaggero edizione Abruzzo

Degli oggetti smarriti dopo il sisma del 6 aprile 2009, dopo 13 anni, è rimasto solo un grande scatolone. E’ stato aperto, ieri mattina, per le telecamere del Tg3 della Rai e per il Messaggero, e l’emozione è stata fortissima. Orologi, anelli (uno, un Bulgari, di evidente grande pregio) monili, collane, piatti (uno in particolare, d’argento, ammaccato dall’urti con le macerie), portagioie pieni e non, macchinette fotografiche, un pugnale… Oggetti con dietro una storia, delle storie, o probabilmente una tragedia visto che dopo tredici anni non sono stati ancora reclamati. Ognuno dentro una busta, con un biglietto che segnala il luogo di provenienza: via XX Settembre, via Sant’Andrea… nomi purtroppo sinistri rispetto al sisma del 6 aprile.

«La normativa impone di conservare gli oggetti smarriti per un anno prima di utilizzarli, a scopi ovviamente benefici, dall’amministrazione- spiega, sorpresa da tanta attenzione, Lina Tresca, la funzionaria del Comune dell’Aquila responsabile di questo particolare settore-. Non abbiamo tenuto conto della “scadenza” burocratica vista l’eccezionalità della tragedia».
E così, qualche giorno fa, una persona, presentando la documentazione comprovante necessaria, ha recuperato l’orologio, un “Longines” da donna, che apparteneva alla madre. «Quando è venuto a ritirarlo- commenta la dottoressa Tresca- qui in ufficio ci siamo commossi tutti».

Il recupero della memoria. Chissà di chi era il pugnale a serramanico in una busta trasparente con scritto a pennarello nero “via Sant’Andrea”. O chissà chi indossava un collier di perle, o un anello di forgia antica. Storie. Storie di un sisma che, anche a distanza di tredici anni, riesce a suscitare emozioni fortissime. E’ commovente trovarsi davanti una scrivania di ufficio in cui sono sparsi oggetti che sono delle storie, magari non solo drammatiche come l’orologio riconsegnato qualche giorno fa! Oggetti tirati fuori dalla scatola della memoria, di un Comune che è andato “oltre” la legge per cercare di salvaguardare il più possibile il ricordo. Di non spegnare la speranza di chi, ritrovando un oggetto che aveva creduto smarrito sotto le macerie, ritrova anche un pezzettino della sua vita, del suo essere vivo.
Angelo De Nicola
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il 13.mo anniversario del 6 aprile: quella stele
in pietra nel punto esatto dell’epicentro

La stele realizzata nel 2010 dagli alpini di Roio e Genzano di Sassa in località Colle Meruci

Il mio articolo sull’edizione di oggi del Messaggero
https://www.ilmessaggero.it/abruzzo/terremoto_2009_anniversario_tredicesimo_stele_epicentro-6603376.html

ROIO (L’Aquila) Provate a mettervi davanti alla stele, un masso di pietra bianca con sopra piantata una croce povera in ferro e la data incisa: “6 aprile 2009”. Provate a mettere le due mani alla sommità della pietra. Provate a sentire…Sentirete l’urlo dell’orco. Quel rombo. Quelle urla disperate. Quelle grida d’aiuto. Quelle sirene impotenti. Quel silenzio di morte. Quei 309 rintocchi. Il rumore del mare d’inverno. Il vento che gonfia le tende blu.

E’ la sensazione, fortissima, che si prova al cospetto di un simbolo che, per quelle ragioni inspiegabili che solo all’Aquila si verificano, non è ancora diventato un simbolo. E, invece, è di una potenza evocativa travolgente. Un totem.

Si tratta della stele posta nel punto (a essere precisi spostato di qualche metro dal punto esatto dove c’è un’iscrizione a ricordo) dell’epicentro del sisma del 6 aprile 2009 (coordinate Lat. 42.334, Long. 13.334) a Colle Miruci, nel territorio della frazione di Roio, proprio al confine con la frazione di Genzano di Sassa e il Comune di Lucoli.
Per arrivarci, seguendo la strada che da Roio, dopo Santa Rufina, porta poi con un bivio a Lucoli, devi conoscere il posto. All’imbocco che dall’asfalto porta a una strada sterrata, non c’è nessuna indicazione. Percorsi 141 passi, si arriva ad un piccola radura dove si scopre un panorama mozzafiato dell’Aquila ai piedi del Gran Sasso. La stele, con la sua incisione della data del 6 aprile, guarda appunto la città. Così, di spalle al Massiccio, ad averla davanti è un’emozione fortissima. Si sentono “onde”. Quelle “onde”. Tutt’attorno il silenzio.

Eppure, ogni anno, come spiega lo storico roiano Fulgenzio Ciccozzi, «dal 2010, a Colle Miruci, gli alpini e un pugno di cittadini commemorano le vittime del 6 aprile. Il cielo terso e la figura imponente e nello stesso tempo rassicurante del Gran Sasso innevato, che si staglia all’orizzonte, sono sempre lì ad accompagnare questo momento di raccoglimento. Raccoglimento che non sembra essere stato colto dalla gente e soprattutto dai più giovani. La memoria è il pane di cui si nutre una comunità e dimenticare non è un buon esercizio per costruire un solido futuro, soprattutto quello di noi aquilani».

Fin da principio, dice Ciccozzi, «gli incrollabili punti di riferimento di questa iniziativa sono stati Manlio Ciccozzi e Federico Scarsella, rispettivamente capogruppo degli alpini di Roio e di Genzano, ai quali si sono aggiunte le penne nere delle sezioni di Lucoli, Coppito e Preturo. La preghiera dell’alpino e i 309 rintocchi di un campanella appesa alla croce, chiudono la cerimonia».

«La croce di ferro- ricorda ancora Ciccozzi-, infissa sulla stele della memoria, nel 2016 venne anche “brutalmente estirpata” dai soliti ignoti. Proprio lì vicino, qualche anno fa, venne rubata l’effigie della Madonna la quale assurgeva al medesimo valore simbolico. Evidentemente a qualcuno non piace l’idea di voler ricordare quell’evento che ha cambiato la vita della comunità aquilana, o, forse, a questi buontemponi non piace che tali simboli religiosi vengano accostati a quel ricordo».

«Ci piacerebbe contribuire a questa iniziativa così bella- commenta il referente del Gruppo di azione civica Jemo ‘nnanzi, Cesare Ianni-. Magari, in accordo con gli alpini, potremmo occuparci di mettere dei cartelli per indicare questo luogo così significativo per la nostra memoria e renderlo il più possibile fruibile e conosciuto».
Angelo De Nicola
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Guarda il video realizzato per il Messaggero da Tommaso Ribeca

La morte, a 64 anni, di Stefano Vespa: “il miglior giornalista della famiglia”

Con Stefano Vespa, la scorsa Perdonanza 2021, in uno scatto di Sabrina Giangrande e sotto gli occhi vigili di Dante Capaldi, davanti la monastero di San Basilio dove Stefano mi onorò della sua presenza come moderatore alla presentazione del libro “Dante, Silone e la Perdonanza”. Ho tra le mani il mio libro su don Attilio Cecchini (anche per quello Stefano moderò la presentazione all’Emiciclo) sul quale mi aveva chiesto la dedica ma io, fino a quella mattina, avevo sempre svicolato per una sorta di pudore…

Il mio articolo sull’edizione di oggi del Messaggero

“Il miglior giornalista della famiglia”. Il necrologio del fratello Bruno, il più famoso giornalista italiano, e della sua famiglia (la moglie Augusta Jannini e i figli Federico e Alessandro), sono le più belle (e vere!) parole che meglio potessero ricordare Stefano Vespa. La cui morte, ieri, a 64 anni, per un malore nella sua abitazione a Roma, dove viveva da solo, ha lasciato tutti di stucco. Sì perchè Stefano, che spessissimo tornava all’Aquila anche dopo la morte della madre, era sempre in forma, sportivo, senza un filo di grasso, attento. Un “precisino” come lo era nella professione.
Era davvero il migliore! Classe 1957, a dispetto dell’oggettiva difficoltà dell’essere il “fratello di Bruno Vespa”, Stefano era animato dalla stessa passione: cominciò la carriera giornalistica nella mitica redazione del Tempo (dove erano passati anche Bruno e Gianni Letta), ultimo della “nidiata” di Enrico Carli a favore del cui ricordo civico Stefano era intervenuto, a brutto muso, un mese fa su queste colonne in un appello a quattro mani col fratello. Ma è stato anche tra i fondatori e tra le “colonne” dell’altrettanto mitica redazione, in via Accursio, di “Radio L’Aquila”. In radio la sua voce era inconfondibile, soprattutto nelle radiocronache sportive (calcio e rugby), un mix tra la preparazione di Sandro Ciotti e la “musicalità” di Enrico Ameri. Anche in Tv ci sapeva fare, e parecchio: ai mitici Mondiali di calcio del 1982, fece per l’Atv7 degli Spallone (raggiungendo gli studi ad Avezzano con la sua inseparabile A112 blu) delle telecronache delle partite dell’Italia dando della biada a Nando Martellini passato alla storia per quel “Campioni, campioni, campioni!!!”.
Era il migliore Stefano! Nella redazione del Tempo, e con i colleghi, spaccava il capello. Un carattere difficile. Un “dottor Sottile”. Se s’impuntava, non c’era verso. Ma perchè sapeva tutto, studiava tutto, voleva capire tutto. Volle andare a Roma: la “sua” L’Aquila (nel suo profilo Whatsapp campeggia lo stemma civico) gli era diventata stretta per tutta una serie di motivi. A Roma prima nella redazione centrale del Tempo diventa caporedattore, poi, nel 2003 era passato al settimanale Panorama che ha lasciato nel 2015 da capo della redazione romana. Andato in pre-pensione, aveva continuato a scrivere per il sito Formiche.net. Si è sempre occupato di politica, la sua passione, con approfondimenti sui temi della difesa e della sicurezza, ma anche, in incontri e convegni, di deontologia e del ruolo della carta stampata davanti all’avanzata del Web e dell’informazione multimediale. Sul suo profilo Twitter amava presentarsi così: «Giornalista, tennista (nc) emerito e milanista da metà anni Sessanta».
I funerali si terranno domani, a Roma alle 10 in San Lorenzo Bellarmino e alle 15 a San Silvestro all’Aquila.
Angelo De Nicola
© RIPRODUZIONE RISERVATA

La presentazione al monastero di San Basilio il 23 agosto 2021