Il mio impegno per la 726.ma Perdonanza

Il tripode della Pace (foto Renato Vitturini)

– Lunedì 24 agosto: conferenza sul tema “La Basilica di Collemaggio nella storia dell’Aquila” a Rocca di Mezzo h. 21.30

– Martedì 25 agosto: intervento nella conferenza stampa in Municipio all’Aquila per iniziativa collegata alla Perdonanza Unesco – Pal. Fibbioni h. 11.30

– Mercoledì 26 agosto: “Cordata per l’Africa – Evento di solidarietà per le Suore Celestine – Monastero San Basilio, dalle h. 17

– Venerdì 28 agosto: partecipazione alla diretta Tv dell’emittente Rete8 del Corteo della Bolla – Collemaggio, dalle h. 17

– Sabato 29 agosto:
* Moderatore al convegno sui 40 anni di Papa Giovanni Paolo II a Roio – Santuario della Madonna di Roio h. 17.30
* Spettacolo sulla Transumanza “La Stanza del pastore” – Villa Palitti a Roio h. 21.30

– Domenica 30 agosto:
* Visita guidata “Roio, un luogo da romanzo” – inizio Via Mariana h. 9.15
* Intervento all’incontro del “Giardino letterario” – San Pietro della Ienca h. 17.30

Il delitto di Balsorano: 30 anni dopo, a Case Castella il tempo s’e fermato a quell’agosto

Michele Perruzza al momento dell’arresto

A Case Castella il tempo sembra essersi fermato a trent’anni fa. A quella sera del 23 agosto 1990, quando Cristina Capocciti, 7 anni, sparì come inghiottita dal buio: all’alba, le unità cinofile ritroveranno il suo corpicino martoriato, con le mutandine scese, gettato tra i rovi di un cespuglio di more. In questa sperduta contrada della Valle Roveto ai confini con il Lazio che è Case Castella, un pugno di case lungo la strada provinciale per Ridotti (frazione del Comune di Balsorano), tutto pare fermo a quella afosa fine estate quando, in quell’“agosto dei delitti” del 1990 cominciato con l’omicidio (tutt’ora senza un colpevole) di via Poma a Roma, Balsorano fu catapultata in prima pagina come la terra del “mostro”. Il “mostro di Balsorano”.
Cristina, una vispa bimba di 7 anni, non si ritrova. Era scomparsa dalla sera precedente, “scappando” di casa intorno alle 20,30 con uno yoghurt come cena per andare a giocare nella piazzetta del paese con gli amichetti. Venne cercata tutta la notte dai genitori, dai parenti e da tutti i paesani. Era a due passi, a meno di cento metri da casa sua, come si scoprirà all’alba. «Massacrata a colpi di pietra dopo essere stata violentata», si disse e si scrisse sul momento anche se l’autopsia smentirà almeno la violenza carnale che però è rimasta nell’immaginario collettivo. «Strozzata dopo alcuni atti di libidine», hanno poi accertato i tre gradi di giudizio nei quali è stata decretata la condanna definitiva all’ergastolo di Michele Perruzza, muratore all’epoca quarantenne, zio della vittima.
“Il mostro di Balsorano” venne arrestato all’alba del terzo giorno di indagini serrate, al termine della “notte dei misteri”, il 26 agosto. Da allora Michele Perruzza si è sempre proclamato innocente. E gridando la propria innocenza («Dite a tutti che non sono stato io») è morto, nel gennaio del 2003, mentre l’ambulanza lo portava inutilmente dal carcere di Rebibbia a Roma, dove era stato colto da infarto, all’ospedale “Pertini”. Una morte che sembra la conclusione di una tragedia greca che nessun drammaturgo avrebbe saputo inventare.
Perruzza aveva sperato nella revisione del processo dopo che il “processo satellite” di Sulmona aveva gettato, nuovamente e pesantemente, la croce addosso a suo figlio Mauro, all’epoca del fattaccio 13enne. Il quale, a principio, s’era clamorosamente autoaccusato dell’omicidio della cuginetta, per poi ritrattare e puntare il dito contro il padre ed assurgere a supertestimone.
Sono passati trent’anni. Oggi i cartelli stradali sono gli stessi ma consumati dal sole e dalle intemperie. La casa dei Capoccitti è chiusa. La casa dei Perruzza, a due passi, sbarrata e visibilmente disabitata da tempo. Così come sono fermi a quei drammatici giorni del delitto i lavori in quella che doveva essere la nuova abitazione dei Perruzza, una famiglia oggi dilaniata.
Nella radura dove è stato ritrovato il corpicino della povera Cristina, l’edicola a suo ricordo è piena di fiori mentre intorno è tutta un’esplosione di more e di fichi ancora non maturi.
Se non fosse che anche qui, in questo borgo, è arrivata al “fibra”, testimoniata dalla nuova scatola col “cappello” rosso, anche dove sono posizionate le cabine, lungo la strada provinciale che si inerpica fino a Ridotti, della telefonia e dell’Enel, è come trent’anni fa. Da qui, Mauro dirà di aver visto il padre che «la steva a finì» in una delle sue innumerevoli versioni (se ne conteranno 17 tra ufficiali e non). È in abbandono pure la porcilaia (altro luogo cardine di questa storia maledetta), dove il nonno materno di Cristina allevava i maiali e dal cui tetto Mauro disse ai giudici della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila di aver visto il padre “sopra” la sua cuginetta. Il ragazzo (dopo un sopralluogo dei giudici) fu creduto e Michele condannato all’ergastolo. Ma nel processo-satellite, davanti al Tribunale di Sulmona, una perizia ha dimostrato che all’ora del delitto, Mauro non poteva aver visto nulla perchè era buio. Mauro oggi ha 43 anni.
Case Castella sembra “morta”. Come la piccola Cristina, la cui tomba al cimitero è un’esplosione debordante di peluche, giochini e rosari. Poco vicino c’è la tomba di Michele Perruzza con un piccolo mazzo di fiori di plastica: dopo anni, qualcuno è sepolto nei loculi accanto al suo, rimasti per anni vuoti. Una tragedia piena di croci, il “delitto di Balsorano”. E di ferite. Ancora sanguinanti, dopo trent’anni. Se sono ormai illeggibili le scritte in vernice nera e a caratteri cubitali sui muri di contenimento al bivio per Ridotti dalla Superstrada del Liri che per anni hanno ricordato al passante che questa è la terra del delitto di Balsorano (“Andate via assassini…”, “Maria.., vaff…”), le scritte al lavatoio pubblico del paese (altro luogo cardine della vicenda) contro “Michele e Maria assassini”, invece si leggono ancora. Sbiadite dal tempo e non da una pietosa mano di vernice. Non a caso, quasi tutte le scritte contro Maria Giuseppa Capoccitti, la moglie di Perruzza, la madre di Mauro, la zia di Cristina. I paesani, gli stessi che festeggiarono con i fuochi d’artificio la condanna di Perruzza, hanno dato l’ergastolo anche a lei. La donna che, dovendo scegliere, tra il ruolo di madre e quello di moglie, scelse il primo. L’unica protagonista che, forse, sa la verità.
Angelo De Nicola
Pubblicato sul Messaggero Abruzzo il 21 agosto 2020
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Il saggio “Presunto innocente, cronaca del caso Perruzza” – Capitolo 119 (FINE)

L’avvocato Attilio M. Cecchini al funerale di Michele Perruzza, il 25 gennaio del 2003, a Ridotti di Balsorano e durante l’orazione funebre, tra Gennaro De Stefano (a destra) in lacrime e l’avvocato Antonio De Vita. Dietro, si riconosce la giornalista Angela Ciano

119-120. «MICHELE SIMBOLO DI UNA GIUSTIZIA INGIUSTA» – 26. 1. 2003
Un’arringa funebre più che un’orazione, quella che, con gli occhi bagnati dalle lacrime e la voce commossa, l’avvocato Attilio Cecchini (e subito dopo il suo collega Antonio De Vita) ha recitato tenendo una mano sulla bara nella piccola chiesa gremita. Michele Perruzza ha avuto ieri, nella chiesa di Santa Maria dei Sassi nella frazione di Ridotti (la stessa dove fu salutata la piccola Cristina il 25 agosto 1990) un funerale certo non da ergastolano condannato con sentenza definita per pedofilia sulla nipotina di 7 anni.
«Sulla tua tomba- ha detto Cecchini nell’orazione- vorrei scrivere: Michele Perruzza ergastolano innocente, simbolo di una giustizia ingiusta. Sono accanto a te con quelli che ti vogliono bene e che hanno raccolto il tuo ultimo messaggio: “Dite a tutti che non sono stato io”. Quando abbiamo deciso di difenderti, a me e a De Vita, dicesti, alzandole, che quelle tue mani non hanno mai toccato Cristina. Noi ti credemmo e, via via, ti abbiamo condotto lungo la battaglia e ci siamo convinti della tua innocenza. Ci duole -ha concluso il legale rivolgendo lo sguardo verso il giornalista Gennaro De Stefano, anche lui in lacrime- non essere arrivati in tempo per liberarti in 12 anni di battaglia nel corso dei quali ti abbiamo abituato a sperare nella libertà. Sei diventato un simbolo che vivrà per sempre». …

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