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Le origini storiche di Poggio Picenze e Picenze e Picenze
“I Papi e Celestino V”. la recensione del prof. Gaspare Mura
Gaspare Mura, filosofo e teologo, è professore emerito di filosofia presso la Pontificia Università Urbaniana, dove ha ricoperto le cattedre di storia della filosofia antica, filosofia della religione e ermeneutica filosofica. È stato docente di ermeneutica filosofica anche presso le Pontificie Università Lateranense e della Santa Croce. È stato direttore dell’Istituto superiore per lo studio dell’ateismo della Pontificia Università Urbaniana, dell’Urbaniana University Press e della rivista di filosofia e teologia «Euntes docete»; è stato inoltre direttore letterario della casa editrice Città Nuova di Roma dal 1966 al 1990 e consultore del Pontificio consiglio della cultura dal 1993 al 2015. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni dedicate alla filosofia ermeneutica, alla filosofia della religione e allo studio del fenomeno religioso.
Convegno su Perdono, Perdonanza e Giubileo
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“I Papi e Celestino V”: 17.ma presentazione a Tornimparte
AZZERATE POLEMICHE LUNGHE SETTE SECOLI
E ADESSO LA CITTÀ HA UN BRAND MONDIALE
La mia analisi sul Messaggero Abruzzo di oggi, 29 agosto 2022
Quando l’elicottero papale è sbucato nello scenario di Collemaggio, la nebbia mattutina dovuta a una rigida temperatura fuori stagione, s’è all’improvviso diradata lasciando il posto a uno splendido sole in un cielo azzurro intenso, il cielo che solo L’Aquila sa regalare. Papa Bergoglio ieri ha compiuto il “miracolo” di far uscire il sole su Celestino V. Sulla basilica di Santa Maria di Collemaggio. Sull’Aquila. Sull’Abruzzo.
Francesco ha tirato, finalmente, fuori dalla secche della Storia il “povero cristiano” marchiato di vigliaccheria per le sue clamorose dimissioni. Ha detto, in mondovisione, che è errata l’interpretazione del verso dantesco del “gran rifiuto”: «Celestino è uomo del sì e non uomo del no. Infatti, non esiste altro modo di realizzare la volontà di Dio che assumendo la forza degli umili». In questo azzerando polemiche settecentenarie su quel maledetto (perchè “marchia” di viltade Celestino) ma pure benedetto (perchè gli ha dato una notorietà che non tramonta) verso del Terzo canto dell’Inferno, è andato oltre Papa Paolo VI che nel 1966 disse: «…Come per dovere l’Eremita del Morrone aveva accettato il Pontificato supremo, così, per dovere, vi rinuncia; non per viltà, come Dante scrisse- se le sue parole si riferiscono veramente a Celestino- ma per eroismo di virtù, per sentimento di dovere».
E sul coraggio del fraticello nato in Molise, Bergoglio è andato oltre Papa Ratzinger che nel 2010 a Sulmona chiudendo, prima di dimettersi di lì a poco, il percorso di “riabilitazione” dell’Eremita che aveva avviato il 28 aprile 2009 proprio all’Aquila passando sotto la Porta Santa e donando il suo “pallio”, aveva detto: «Celestino V seppe agire in obbedienza a Dio e con grande coraggio».
Papa Francesco indica Celestino come «testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui- sottolinea- noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la misericordia». E la «misericordia è il cuore stesso del Vangelo, è sentirci amati nella nostra miseria» ed «essere credenti non significa accostarsi a un Dio oscuro e che fa paura».
Celestino è, definitamente, un “crociato della Pace”, un “Ghandi del Duecento”, un “Martin Luther King dei suoi tempi” altro che “il vile del gran rifiuto” col quale lo si è voluto far passare per secoli generando un grande imbarazzo nella Chiesa. Uno per il quale “il potere è un servizio”. Francesco riscrive la Storia.
Il sole è uscito anche sulla basilica di Collemaggio, simbolo della ricostruzione positivo (grazie soprattutto ai dodici milioni tirati fuori da un privato, l’Eni) rispetto al simbolo negativo della Cattedrale aquilana di San Massimo (che dopo oltre tredici anni ancora non rinasce) tra i cui puntellamenti Bergoglio è entrato indossando significativamente un casco dei vigili del fuoco come fece Benedetto XVI a Onna nel suo pellegrinaggio all’Aquila del 2009. Quel suo sostare, in piedi, senza la carrozzella, visibilmente sofferente nel fisico, sull’uscio della Porta Santa e, poi, in raccoglimento davanti al Mausoleo dell’Eremita, fanno ora della basilica aquilana un punto di riferimento nella Cristianità. E non solo: sul pavimento della basilica c’è una antichissima pietra in cui è incisa una mezzaluna, simbolo musulmano ma anche simbolo di Pace. Non a caso.
La Pace, appunto. Il sole è arrivato a illuminare L’Aquila definita da Bergoglio «capitale di perdono, di pace e di riconciliazione». Un “brand” che il Papa lascia in dono alla città resiliente e a tutto l’Abruzzo. Sì, perchè ora può cambiare il Pil della regione dopo questa giornata epocale.
Ieri è stato una sorta di “anno zero” che va sfruttato facendo progetti, migliorando strutture, sostenendo un marketing territoriale grazie al “marchio” impresso da Papa Francesco, l’uomo più visibile della Terra, in cui c’è da “guadagnare” per tutti. Trasformando anche lo stesso sisma, con tutto il rispetto per le vittime, in un’opportunità.
Appena s’è sollevato l’elicottero papale, le nuvole sono tornate ad assediare il cielo aquilano e alcuni tuoni hanno rombato. Sta ora alla classe dirigente abruzzese generare il “miracolo” di far tornare a splendere davvero il sole su questa meravigliosa regione.
Angelo De Nicola
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