A Castel del Monte l’11.ma presentazione del libro “Il Primo Giubileo della Storia”

L’intervento di Fulgo Graziosi

IL PRIMO GIUBILEO DELLA STORIA
di ANGELO DE NICOLA

Premessa:
La nostra attività si arricchisce con la presenza e la partecipazione attiva di autori di prestigio. Oggi è la volta di Angelo De Nicola, giornalista professionista di lungo corso, approdato alla ricerca e alla narrativa dopo aver constatato che l’editoria giornalistica stia subendo una profonda metamorfosi. Non è nuovo a pubblicazioni impegnative. Mancava una pubblicazione più leggera, snella, alla portata di tutti. Una specie di vademecum indispensabile per quando si vanno a visitare luoghi e monumenti legati alla storia di grandi uomini come Celestino V. E’ un vero e proprio tascabile, utile per il turista, dove si trovano notizie utili, non ripetitive, frutto di una capillare ricerca, con raffronti e paragoni con l’attualità.

Che Celestino sia stato un rivoluzionario della Chiesa, lo sanno tutti. Ma, molti non conoscono particolari, retroscena, considerazioni, che Angelo è riuscito a scovare e a porre a disposizione della società, a volte, troppo distaccata e superficiale nella conoscenza di fatti e personaggi di portata universale.

Sono lieto della presenza di Angelo, mio carissimo amico, con i cui genitori ho trascorso un bel percorso di vita. Ha voluto partecipare personalmente alla nostra attività. Ne siamo felici e grati. Data la sua notorietà, avremo certamente una ricaduta meritoria e di credibilità. La visibilità l’affidiamo alla sua penna. Grazie caro Angelo.

Non possiamo ignorare la partecipazione e la professionalità di un’altra amica, Francesca Pompa, tenuta a battesimo da una zia di mia moglie, Anna di Onna. Ma i legami con la casa editrice One Group sono ancora più antichi, perché i rapporti con la famiglia di Duilio Chilante, consorte di Francesca, risalgono ai tempi della frequentazione dell’Oratorio Salesiano con il padre e gli zii di Duilio. Ne erano tanti. Angelo starebbe per dire “era piccolo Gesù Cristo. Infatti, ero veramente piccolo. Avevo sei o sette anni e andavo ai Salesiani con mio fratello Silvio.

CONSIDERAZIONI
Ho letto con piacere il libro. Un vero e proprio prontuario. Scritto con lo stile del giornalista preparato, attento, analizzatore degli eventi, ricercatore misurato anche nella esposizione di tesi e raffronti contrastanti. È un prontuario breve, snello, utile per ogni tipo di lettore, proteso alla conoscenza delle potenzialità umane, storiche, ambientali del territorio. È un vero e proprio tascabile. Come quelli che andavano di moda tanti anni fa. E’ ricco di notizie e particolari, talvolta sconosciuti, o appresi in maniera superficiale. Ma, quel che più mi piace, contiene una serie di riflessioni che stimolano l’intelligenza del lettore per andare alla ricerca della verità, di quella verità che, ad ogni costo, la Chiesa e taluni uomini hanno tentato di distorcerne la cronologica realtà per offuscare la potenza, la fama, il sapere, l’intelligenza e le oculate proiezioni sociali e religiose di un grande uomo, della taglia e del profilo socio culturale di Celestino V. Gli argomenti trattati, con dovizia di particolari, stimolano nel lettore una serie di profonde riflessioni, prima ancora di addentrarsi in puntuali e corrette analisi introspettive, volte alla ricerca della verità. Verità che, forse, inseguiremo e che non riusciremo mai a portare alla luce nella dovuta interezza.

Tutto ciò lo verificheremo proprio attraverso un razionale, chiaro e profondo colloquio con l’autore Angelo De Nicola.

Vorrei porti cento domande. Te ne rivolgo pochissime. Vorrei lasciare lo spazio agli ascoltatori che, certamente, ne vorranno fare moltissime. Tanto per chiarire le idee a noi, alla comunità aquilana, abruzzese: perché Celestino V, nel suo breve papato volle caratterizzare questo grande evento, di portata mondiale, “Perdonanza”? Fu una vera e propria rivoluzione concettuale della “Indulgenza”, voluta con decisione, senza riserva alcuna.

Il Primo Giubileo della Storia. Normalmente, la presunzione, la prepotenza derivanti dal potere e le furbizie lascerebbero pensare a perfette strategie di gestione della cosa pubblica. Nel nostro caso, la gestione del papato. Ma, non è così. Tu lo hai dimostrato, mettendo insieme una serie di tasselli, con i quali hai chiarito, praticamente, che Bonifacio VIII, nelle sue elucubrazioni, ad un certo punto si è incartato e, nel tentativo di dimostrare ancora una volta l’inefficacia della Perdonanza, per salvare la faccia, è stato costretto ad indire il Primo Giubileo della Storia che, guarda caso, ha amplificato l’importanza e la visibilità della Perdonanza Celestiniana. Ha tentato di salvare la reputazione riducendo il Giubileo al semplice evento di “Centesima indulgenza” per dimostrare che il potere era ancora nelle sue mani. Le considerazioni esposte, a tal proposito, meritano un approfondimento da parte tua.

Il papicidio e la leggenda del chiodo assassino
Che il castello di Fumone, di proprietà dei Caetani, non fosse un albergo a cinque stelle, lo sapevano tutti. Era un vero e proprio carcere, peggio di un lager, dal quale pochi ne sono usciti, ma con gravi problemi fisici e mentali. Celestino, invece, doveva essere eliminato, in quanto elemento scomodo per la gestione della Chiesa, avendone minato la solidità economica con l’abolizione lucrosa dell’indulgenza. Contestualmente, aveva denunciato anche l’ingerenza della nobiltà nella scelta dei Pontefici. Era un Papa scomodo. Infatti, non aveva posto la sua candidatura e non aveva alle spalle una protezione nobiliare. Era stato scelto per riportare legalità e credibilità all’interno del Vaticano. Bonifacio VIII, come tu ben dici, temendo un possibile scisma, decise di recludere Celestino nel carcere di Fumone, da dove non è uscito vivo. Con la morte vengono poste in essere una serie di ipotesi che, francamente, non hanno il senso di una qualsiasi razionalità. Il famoso buco in testa venne fatto passare per una ferita procurata in precedenza. Ma, l’ipotesi non regge, perché un oggetto di quelle dimensioni avrebbe provocato la morte. Le varie analisi effettuate negli anni hanno tutte la connotazione di un pilotaggio a monte, volto ad evitare che la Chiesa possa essersi macchiata di un crimine così spregevole. Personalmente sono convinto che sia stato assassinato con un chiodo che Angelo definisce “bresciano”, ma che, dalle nostre parti, vengono definiti chiodi da “gattello”, forgiati in maniera quadrangolare e piramidale, della lunghezza variabile dai quindici ai diciotto centimetri, con una punta ben acuminata. Servivano per fissare e consolidare le impalcature in legno, fissando dei cunei tra la trave montante e quella orizzontale della pedata. Non servono le risonanze, le TAC, le autopsie postume, mi disse un esperto imprenditore ingegnere. Basta prendere un chiodo come questo, ne trasse uno intonso dal cassetto della scrivania, infilarlo in quel buco ancora evidente. Scenderà per circa cinque o sei centimetri e si fermerà proprio a questa altezza, dove le dimensioni del chiodo, di forma piramidale, combaceranno con il foro presente nel cranio di Celestino. Ma, tutto questo, la Chiesa non vuole dimostrare, perché non potrebbe mai giustificare un omicidio del genere.

Hai messo in risalto due perdonanze, quella di Adelchi Serena e quella della Rinascita, legata a De Rubeis e Centofanti. La prima, d’effetto, venne inserita nel progetto della costruzione della Grande Aquila. La seconda, quella della Rinascita, concepita, forse, per il possibile inserimento dell’Aquila nei grandi flussi turistici e religiosi, allo scopo di far conoscere le potenzialità storiche, artistiche e culturali in dotazione al territorio, anche per favorire il decollo socio economico della città. Il sogno della Grande Aquila naufragò con la caduta del regime. La Rinascita, purtroppo, non c’è stata, se non a livello esclusivamente religioso e folcloristico. Cosa ci puoi dire, oltre a quello che hai scritto, di questo paragone che, bene o male, non è poi tanto azzardato?

Il Gran Rifiuto di Benedetto XVI
Questo è un argomento interessante. Di Papi che abbiano rifiutato il mandato ce ne sono stati diversi. Qualcuno lo hai citato anche tu. Ma, che abbiano osato “il Gran Rifiuto”, a mio modesto parere, ce ne sono soltanto due, Celestino V e Benedetto XVI. Guarda caso, per le stesse identiche ragioni: lotte di potere ai tempi di Celestino, strapotere e affari poco chiari dello IOR attuali; scandali e ingerenza della nobiltà nella scelta dei Pontefici; palesi scandali, mai condannati, nel comportamento scorretto del clero con una diffusa pedofilia; lucro nella antica concessione delle indulgenze, corruzione nell’allegra gestione e svendita di cospicui patrimoni immobiliari vaticani e non di proprietà della Chiesa. Ma, andiamo per ordine. Dante, per destinazione sociale, fu costretto a denigrare Celestino V con l’improprio termine “viltade”. Ci sono stati, come hai detto, goffi tentativi di riparazione per il grande affronto, che non hanno dipanato la matassa, anzi hanno finito per renderla ancora più ingarbugliata. Tentativi di difesa di Celestino V che lo hanno reso quasi ignorante. Tra i difensori veri, quelli appartenenti alla ragione, non viene annoverato quasi mai San Giovanni da Capestrano. Questi, negli anni trenta del 1400, tenne una predica, proprio a Collemaggio, in difesa di Celestino V. Da grande giurista, quale era, non pronunciò il solito sermone, neppure una semplice omelia. Svolse un’arringa, con la quale demolì la tesi sostenuta da Dante, non il suo valore letterario. Sono sicuro che, se ci fosse stata la presenza di un collegio giudicante, avrebbe pienamente assolto Celestino V per non aver commesso il reato dantesco e, forse, gli sarebbe stato assegnato il riconoscimento per i danni morali e materiali apportati da Dante e dai tanti saccenti clericali che hanno sostenuto la tesi dantesca. Adesso veniamo a Benedetto XVI. Ho scritto, non voglio rubarti la scena, che Benedetto XVI ha deciso di effettuare il “Gran Rifiuto” proprio all’Aquila, in occasione della visita a Collemaggio, subito dopo il terremoto. Ho detto che, ti prego di riflettere su questa affermazione che, nel momento in cui Benedetto XVI ha deposto il Pallio, simbolo del potere papale, collocandolo con estrema delicatezza sul sarcofago di Celestino con un particolare gesto, accompagnato da una interiore considerazione, a cui ho attribuito questa versione: “Ti restituisco il Pallio che ti hanno strappato sacrilegamente, perché ti appartiene di diritto. Oggi, dinanzi alle tue spoglie, imito il tuo gesto e, per le stesse ragioni, opero anch’io, convintamente “Il Gran Rifiuto”. Le polemiche e le tesi dei saccenti, fino ad oggi nell’ombra, sono state infinite. L’eco ancora non si spegne. Una conferma a questa mia tesi è stata data, involontariamente, dal suo Segretario Monsignor George, molto discusso, nel corso di una intervista televisiva. Ha riferito che un giorno Benedetto XVI disse che era giunto il momento di rendere pubblico il proprio abbandono. Monsignor George replicò , dicendo che sarebbe stato necessario avvertire prima gli organi responsabili. Dopo di che avrebbe potuto assumere la decisione del caso. Papa Benedetto XVI, con estrema fermezza, assicurò che la decisione era stata già assunta da tempo. Forse, proprio quella sera all’Aquila, al cospetto di Celestino V, del quale aveva una profonda ammirazione.
Castel del Monte, 11 agosto 2024

Fulgo Graziosi

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