Ecco la mia cronaca sul Messaggero di oggi sull’arrivo
della tappa del Giro d’Italia 2021 a Campo Felice
ROCCA DI CAMBIO – Certo Bernal non è Pantani nè Ciccone è Taccone (ma magari lo diventerà). Eppure la tappa di ieri, con quel chilometro e mezzo di sterrato di dura salita, passerà alla storia del Giro d’Italia dimostrando che le montagne abruzzesi sono scenario quasi naturale per corse epiche che solo questo sport sa regalare.
A Campo Felice ieri è stata una festa. Nonostante la giornata a dir poco invernale abbia cercato di guastarla. Ma, in fondo, l’atmosfera “alpina” ha ancor di più contributo a lanciare la stazione sciistica le cui piste più in quota erano ancora perfettamente innevate di metà maggio. E non era certo neve artificiale visto che, quest’anno, purtroppo le seggiovie sono rimaste in deposito a causa del Covid.
Si sarà fregato le mani, da lassù, il cav. Aldo Jacovitti che inventò da zero, alla metà anni Sessanta, la stazione invernale di Campo Felice e il turismo a Rocca di Cambio (il Comune più in quota dell’appennino), utilizzando per il lancio proprio il Giro d’Italia del 1965. I suoi “eredi”, il sindaco Gennarino Di Stefano (che è anche direttore degli impianti), il titolare della stazione Andrea Lallini e il maestro di sci Andrea Mammarella, gli hanno fatto onore inventando questo epico arrivo sullo sterrato che ha coinvolto anche la galleria di Serralunga (altra opera, che collega le due valli, voluta da Jacovitti). «Una vittoria di tutta Rocca di Cambio- ha detto Di Stefano- che ha voluto questo evento, dai volonarti alla popolazione. Grazie a loro».
Così l’anonima pista da sci “I gemelli” (parallela alla “Campo Felice”, la classica degli sciatori principianti e di rientro) è ora famosa e potrebbe anche assurgere a “classica” dei prossimi Giri. Di certo, a parte i corridori in testa sospinti dalla voglia di vincere, il gruppone ha fatto fatica e non poco ad arrivare fino su.
E sarà anche per il boom dei rampichini (che hanno inondato dal mattino presto tutte le strade per arrivare a Campo Felice), ma lungo le transenne che seguono lo snodarsi di questa massacrante salita senza nemmeno l’asfalto dei passi alpini, i tifosi, gli appassionati e i curiosi si sono ammassati sfidando il freddo pungente e la pioggia, a tratti mista a nevischio.
L’entusiasmo è salito alle stelle quando all’inizio dello sterrato si sono presentati in pochi corridori, come negli arrivi da leggenda. E molti, a quel punto, hanno sperato che il chietino Ciccone ce la facesse, a casa sua. Ma, come accadde nel 1965 a Vito Taccone, il “Camoscio d’Abruzzo”, nell’arrivo a Rocca di Cambio, anche stavolta uno scalatore abruzzese non ce l’ha fatta.
L’arrivo, nei pressi del rifugio conosciuto come “L’esagono” anche se non ha più quella forma, dove c’è anche il laghetto a servizio dei cannoni sparaneve, è stato preso d’assalto da gente arrivata in mountain bike, a piedi, o con le seggiovie dai due lati, Rocca di Cambio (impianto “Brecciara”) e Lucoli (“Campo Felice”) che hanno funzionato tutto il giorno.
Anche l’enorme parcheggio, che nelle giornate di punta accoglie fino a diecimila persone, era stracolmo. Tanto che per il rientro il traffico è impazzito con le stesse “ammiraglie” bloccate in coda fino a sera. Chissà cosa sarebbe potuto accadere se il sole avesse baciato (come recita il fortunato spot di Campo Felice: “Un mare di neve e di sole”) la giornata…
Questo è il giro d’Itatlia. E ieri, l’Abruzzo, con la tappa tutta all’interno della regione, ha avuto la sua grande vetrina. E le sue strade asfaltate. “Passate anche nel 2022 che ci sono altre buche da asfaltare” si leggeva in un grosso cartello. Viva il Giro!
Angelo De Nicola
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Un resoconto riportato con grande stile e competenza Leggendolo ho ricordato la prosa di Bruno Raschi o di Gianni Mura.Complimenti all’eclettico Angelo De Nicola che riesce a dimostrare il suo valore giornalistico di primo livello.Auguri per il futuro..( Dante Capaldi)
Complimenti Angelo, ‘pezzo’ avvincente, sentito. Mi sono chiesta il perché dell’omissione del nome del vincitore della tappa, mi sono data una risposta spinta dal nostro orgoglio territoriale: questo ‘pezzo’ parla di noi, del nostro paesaggio, delle nostre splendide unicità. (Rita Innocenzi)