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Il Reportage della Giornata

28 settembre 2006
di MARIANNA GIANFORTE


Tornimparte, la giornata delle missioni
Emigrazione, solidarietà, cittadinanza onoraria ad Angelo De Nicola: una tavola rotonda in tre atti
Un anno dopo. Era il 25 Settembre 2005 quando Angelo De Nicola, "presunto tornimpartese", presentò il suo primo romanzo su Celestino V nella chiesa gremita di San Panfilo, a Villagrande di Tornimparte. E deve avergli portato fortuna, se dodici mesi dopo, nella medesima chiesa, De Nicola presentava il prosieguo della sua "saga celestiniana", "La missione di Celestino", con un elemento in più rispetto all'anno prima: l’appena conferita cittadinanza onoraria del Comune di Tornimparte, del quale Angelo è originario, fortemente voluta dalla Pro-Loco, dall'Associazione "Fonte Vecchia", dalla popolazione tornimpartese, ed accolta con emozione dal giornalista.

Il conferimento del titolo è avvenuto nel contesto di una giornata particolare, dedicata al tema "Tornimparte e l'emigrazione", con la partecipazione significativa dell'On. Marisa Bafile, Deputato parlamentare per la Circoscrizione dell'America Latina (Venezuela), ospite d'onore assieme ad Angelo e allo storico e giornalista Amedeo Esposito, "fedele compagno di mille avventure" dello scrittore. E poi tante altre presenze rilevanti: primo tra tutti il padrone di casa, Antonio Tarquini, il presidente della Pro-Loco, Domenico Fusari, il presidente dell'Associazione "Fonte Vecchia", Gianfranco Di Benedetto, il sindaco di Lucoli, Luciano Giannone, il Consigliere comunale dell'Aquila Goffredo Palmerini, il Consigliere provinciale Gabriele Perilli, l'Assessore comunale dell'Aquila alle Politiche Sociali, Alfonso Tiberi, il Consigliere comunale e provinciale, medico ed amico, Claudio Porto, scomparso tragicamente solo quattro giorni dopo. Tutti, o quasi, di origine tornimpartese, ma anche numerosi giornalisti di emittenti locali e moltissimi cittadini, che si sono riversati per la scalinata, i corridoi, nella saletta consigliare del Municipio di Tornimparte, con l'euforia garbata della festa, dell'appuntamento irripetibile atteso con il "vestito delle occasioni", intrisa dell'atmosfera vagamente remota che sempre si respira nei paesi.

Una giornata divisa in più tempi: il primo momento "istituzionale", connotato dalla partecipazione della Bafile, alla sua prima visita istituzionale nella propria terra d'origine; il secondo di presentazione del libro di De Nicola; il terzo, conviviale e conclusivo dell'evento, che ha raccolto tutti attorno ad un falò allestito ad hoc.

Ore 16:00. La cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria ad Angelo De Nicola incomincia con il ritardo d'obbligo di tutte le grandi occasioni. Sala consigliare affollata. Il sindaco legge un breve intervento, saluta i presenti, introduce il tema dell'emigrazione tornimpartese, abruzzese, italiana. Subito dopo Amedeo Esposito rincara la dose e, appassionato, ripercorre le tappe più significative della vicenda abruzzese. 1870, incomincia l'Odissea: migliaia di persone lasciano i propri paesi per emigrare in terre più promettenti; si spopolano Vasto, Sulmona, Teramo, Amatrice, Ortona a Mare, Lucoli, Tornimparte, Leonessa, Paganica, Rocca di Mezzo, un movimento umano che riempie di sé Brasile, Argentina, Venezuela e, naturalmente, Europa. Quell'Europa che oggi non suscita più timori, ma cent'anni fa si "sputava sangue" anche lì, a Marcinelle si moriva davvero: 262 minatori, di cui 136 italiani e 62 abruzzesi, seppelliti sotto il crollo di una miniera di carbon fossile. Sembrano storie lontane, ma Esposito ci ricorda che l'emigrazione, regolare o clandestina che sia, c'è ancora, esiste, è quantificabile, spesso drammatica quanto allora. E' soltanto mutata qualitativamente: oggi partono gli operai del Mezzogiorno per raggiungere il Nord Italia, e soprattutto partono le competences, le abilities, le giovani energie intellettuali e professionali verso mete straniere: è la "fuga dei cervelli", problema dell'Italia globalizzata, che aspira a spiccare il volo verso il mercato mondiale tecnologico e competitivo, ma resta ancora attaccata al ramo come una mela acerba. «E' questo il vantaggio dell'emigrazione? - si chiede - Sono questi i benefici? Per l'Italia moderna senz'altro no!». Sono lontani gli anni del Piano Marshall, del contribuito degli emigrati per la ricostruzione della patria «come Ciampi la intese: unica, europea, a mandato tricolore».

Fin qui è storia. Marisa Bafile sposta la riflessione sul piano concreto della testimonianza e dell'azione politica, da intendere in due modi. Testimonianza «dell'apertura» saggia e lungimirante «del Parlamento italiano al mondo», che pone, con il diritto di voto degli Italiani all'estero, «il nostro paese all'avanguardia»; e testimonianza diretta dell'emigrazione, ancora legata alla povertà e all'emarginazione. Marisa è infatti, un'emigrante di ritorno, formatasi nella palestra dura del Venezuela e nella redazione di ”La Voce d'Italia”, quotidiano fondato dal padre, Gaetano Bafile, negli anni '50, assieme all'amico avvocato aquilano, Attilio Cecchini. A Caracas i due arrivarono, uno a distanza di un anno dall'altro, per condurre una personale battaglia contro i soprusi della dittatura di Jimenez, a difesa degli Italiani sfruttati come manodopera a bassissimo costo. Cinquant'anni di emigrazione: anche lei ha subìto il dramma della doppia identità (o è forse una ricchezza?), l'appartenenza a più di una comunità, la tensione perenne tra quella che si lascia e quella nella quale si viene accolti, e che esige identificazione.

In Parlamento Marisa è giunta con l'obiettivo di compiere una missione: migliorare la vita degli emigrati italiani in Venezuela, incidendo laddove enti, istituzioni e leggi perdono la concreta efficienza di facilitatori dei legami con la terra d'origine (attraverso la ristrutturazione dei Consolati italiani, e la soluzione del problema della doppia cittadinanza); e ricostruire la vera immagine dell'Italia all'estero e viceversa, perché «le comunità di emigrati costituiscono un insostituibile patrimonio umano», che arricchisce le regioni d'Italia dalle quali provengono e alle quali sono fortemente legate. E' necessario, però, «cambiare l'approccio degli Italiani verso le nuove generazioni degli emigrati», sgombrare il campo, e questo è il cavallo di battaglia della sua politica parlamentare, dallo spettro del diseredato, attaccato alla propria valigia di spago e cartone, che popola l'immaginario collettivo e resta «congelato nel tempo».

Basta con l'anacronismo. «I figli minori sono cresciuti - insiste la Bafile - e possono, ora, fare molto per la madrepatria. Possono dare, oltre che prendere». Guardiamo agli uomini, insomma, come risorsa, e non come una spesa. Gli emigranti italiani, insediatisi un secolo fa laddove nessuno, in Venezuela, osava recarsi per le alte temperature, hanno spesso fondato «imperi economici incredibili» («ma quanto lavoro!»), sono figli prodigiosi, professionisti negli istituti scientifici (l'80% dei ricercatori in Venezuela è di origine italiana), scrittori, musicisti, rettori di Università. E' abruzzese, ad esempio, il rettore dell'Università del Venezuela. Professionisti «che arricchiscono i paesi che li accolgono, contribuendo alla costruzione di nuove civiltà, alla crescita culturale ed economica, perché chi lascia le proprie radici senza sicurezze, dà il meglio di sé per sopravvivere», nel lavoro così come nei rapporti umani, costruendo famiglie solide e numerose. E poi, le donne, «silenziose eroine dei due mondi», come le definisce De Nicola, «che tessono la vitale rete di solidarietà e collaborazione che supporta la famiglia, e questa è la dimostrazione della capacità di queste persone di rapportarsi agli altri con sincerità ed intelligenza».

Ore 16:45. L'ospite d'onore, Angelo De Nicola, prende il posto dell'On. Bafile accanto al sindaco di Tornimparte. Questa volta, alla consueta ironia si sostituisce l'emozione.

Ellis Island: è da qui che il giornalista incomincia il suo discorso, perché nell'"Isola-lager" arrivarono, un secolo prima, i suoi nonni, originari di Capo La Villa di Tornimparte, terra grama, allora, di risorse e possibilità di guadagno, e mentre il giornalista racconta scorrono, davanti agli occhi, le immagini di "Nuovomondo", ultimo film di Emanuele Crialese, vincitore del Leone d'Oro a Venezia e candidato all'Oscar, che ricostruisce fedelmente il dramma di chi ha vissuto l'emigrazione "dall'interno", perché un secolo fa si partiva e basta, si compiva il salto nel buio, verso l'ignoto. Cos'era, per quelle persone, l'"Emigrazione"? Timore e voglia di sopravvivere, di non percorrere più chilometri e chilometri a piedi per raggiungere "la Città" e vendere bestiame, formaggio, carne, tessuti, imbarcarsi verso il mondo nuovo e ricco su una nave che separava, di solito per sempre, dall'unico mondo conosciuto.

Esistono luoghi che testimoniano quanto crudele e calcolatrice possa essere la razionalità umana, la cosiddetta "Isola delle lacrime" e i lager nazisti ne sono alcuni esempi. Ellis Island è stata una diabolica macchina scientifica, organizzata per gestire il grande flusso migratorio che invadeva le coste americane, ma anche per sperimentare test psicometrici e frenologici di dubbia scientificità. Nel primo '900 nasce in America, la Personality Psychology, branca della psicologia che muove dall'eugenica dell'inglese F. Galton, cugino di Darwin, sostenitore della possibilità di isolare i tratti genetici dell'anormalità e del ritardo mentale, ritenute di origine genetica, per incentivare, attraverso i matrimoni fra le persone più dotate, una razza "eu", buona, perfetta. E' questo il presupposto pseudo-scientifico che sta alla base della teoria hitleriana della purezza della razza ariana, una vera giustificazione scientifica. Negli anni '20, intanto, l'americano G. Allport studia i tratti della personalità, anch'essi ritenuti trasmissibili geneticamente, per i quali occorreva effettuare numerosissimi test, selezionare un gran numero di persone, raccogliere quanti più dati possibili in poco tempo. Dove trovarli? Ad Ellis Island, naturalmente. Migliaia di persone che non avevano mai parlato una parola di inglese, né visto un grattacielo, divennero, loro malgrado, cavie da laboratorio e strumento di convalida delle tesi razzistiche.

In America 60.000 immigrati, agli inizi del '900, furono sterilizzati per impedir loro di generare figli poco intelligenti. Il paradosso sta nel fatto che l'impianto di quei primi rudimentali test sulla personalità, è lo stesso dei test in vigore oggi nel mondo del lavoro, del marketing, dell'esercito, delle riviste femminili... Ma questa è un'altra storia. Tanto basta, però, a comprendere la realtà in cui venivano catapultati i nostri emigranti, e l'importanza di rivalutare i loro "ciclopici sforzi" per difendere la dignità degli esseri umani, la stessa dignità di coloro che sbarcano oggi sulle coste italiane, con il miraggio di una terra promessa, un lavoro, un futuro.

Ercole Del Signore ed Annunziata Fusari, dunque, lasciarono l’Abruzzo alla ricerca della loro terra promessa; è al loro coraggio, alla capacità di mettersi in gioco due volte, emigrando in Pennsylvania prima, e, una volta tornati in Abruzzo, all'Aquila, che De Nicola dedica la cittadinanza onoraria. «E' merito soprattutto di questi silenziosi eroi se oggi sono qui, se noi tutti siamo qui - ha detto lo scrittore al conferimento del titolo - è quindi giusto che la massima onorificenza che un Comune possa elargire, sia rivolta non alla mia modesta persona, ma a loro, al senso civico che mi hanno inculcato». La riflessione di Angelo si unisce a quella di Esposito e Bafile, e rafforza il significato dell'iniziativa della Pro-Loco e dell'Associazione "Fonte Vecchia": travalicare, cioè, l'iniziativa municipale, per valorizzare il "sentimento di unità, moralità, altruismo e lavoro che eleva una comunità".

Ore 17:30. Dal Municipio ci si sposta all'esterno del bel cortile della chiesa di San Panfilo, che ospiterà, con il suo calore artistico, la presentazione dell'ultimo libro del giornalista, "La missione di Celestino". Aspettiamo di entrare. E' caldo, qualcuno passeggia, altri restano fermi in piccoli gruppi. Ci si chiede: «Chi aspettiamo?». Come saltate fuori dal romanzo di De Nicola, la badessa del convento di clausura di San Basilio, Suor Margherita, e Suor Germana, arrivano chine, silenziose, in paese. Sono le protagoniste della vicenda intrisa di mistero del romanzo, uscite per qualche ora dalla clausura con dispensa speciale del Vescovo Molinari, per apportare un valore aggiunto alla manifestazione: sostenere, cioè, il progetto "Una cordata per l'Africa" nato grazie ai "99 Amici di San Basilio" per aiutare la Missione "Celestino V" a Bangui, nella Repubblica del Centrafrica.

Incomincia, dunque, il secondo momento della giornata. In chiesa, di fronte all'abside affrescato, si susseguono i ringraziamenti del sindaco, del presidente della Pro-Loco e dell'Associazione "Fonte Vecchia", dell'Onorevole Bafile. «Angelo - ha detto quest'ultima - sta facendo un grande onore al paese e all'Italia, promuovendo tenacemente la cultura dell'accoglienza e della solidarietà. Mi sento molto vicina all'iniziativa "Una cordata per l'Africa"», progetto no-profit ideato dallo sesso De Nicola e da Vincenzo Battista, che permetterà di devolvere alla Missione tutti i proventi della vendita del libro. All'Onorevole va l'omaggio della Pro-Loco, lo splendido libro "L'oro del bosco", una raccolta di immagini sulla lavorazione del carbone e ritratti di vecchi carbonai tornimpartesi. Ad Angelo, un omaggio floreale, che dona alla madre Maria Pia, seduta tra la gente.

La visita delle suore traspone il tema del nuovo romanzo dal piano astratto dell'inventiva a quello tangibile della realtà, e la realtà è che la Missione in Africa delle suore benedettine-celestine del convento di clausura di San Basilio, "ultimo baluardo celestiniano" (gli altri scomparvero durante l' '800), "versa in un mare di guai". Senza acqua, né energia elettrica, né soldi, è arduo condurre il dovere dell'evangelizzazione e della solidarietà. «E' difficile capire quali ragazze accettano la vocazione autenticamente - ha spiegato De Nicola -. D'altra parte, è solo nel convento che esse trovano un piatto di minestra».

Messa da parte l'emozione, torna l'ironia abituale di Angelo, che in una sorta di ”déjà vu” accompagna il pubblico alla scoperta dei luoghi celestiniani del romanzo. Tornano le immagini affrescate del Santo: quella di Saturnino Gatti, significativa di tutta l'esistenza di San Pietro da Morrone, seminascosta al centro dell'abside di Collemaggio: da una parte San Michele Arcangelo sopra al Dragone, dall'altra Celestino V che calpesta la tiara papale. Simbolo del Male l'uno, simbolo della corruzione del potere religioso, l'altra. E poi, ancora: il volto di Celestino, riprodotto sul calco di quello del Cardinale Confalonieri, che dette ospitalità, durante la Seconda Guerra Mondiale, a 300 Ebrei; le 112 "scappatelle" non ufficiali di Papa Wojtyla sul Gran Sasso ed altro ancora... Un viaggio che, seguendo la trama del romanzo e passando per i monti di Celestino V e la città dell'Aquila, ne supera le mura e arriva in Cile, Africa, Cina, dove oggi il lavoro dei missionari è duro quanto in passato: la politica, le dittature, la durezza della vita e della natura sembrano aver fermato il tempo all'epoca dei conquistadores.

L'odore della "pizza aji sfrizzoji" comincia ad entrare in chiesa; qualcuno sta cucinando nell'oratorio. Ci ricordiamo tutti che è ora cena, che sta per incominciare il terzo atto della giornata. Prima di uscire, Angelo dona una maglietta, "introvabile" ormai, con il logo del progetto ("Mission"), ad Ezio Fusari, vittima di un maledetto "incidente sul lavoro", parente ed originario dello stesso paese di Ercole Del Signore e Annunziata Fusari. Si avvicina a lui, gliela porge, Ezio allunga le mani contento mentre Angelo gli stringe la faccia tra le sue.

Nel climax ascendente che è stata la giornata culturale a Tornimparte, quello conviviale è la ciliegina sulla torta. Dietro la chiesa, tra il capannone allestito ad hoc e gli organetti, domina un grande falò, che, accerchiato dalle panche, brucia un'enorme quantità di legna, forse quintali a fine serata. Qualcuno, in un angolo, si preoccupa di tagliare la "ventresca", di infilarla nei "zippi" lunghi e affilati da lui stesso preparati: è tutto lo strumentario necessario per degustare sulla brace del falò la "ventresca ajiu zippu", pasto tipico dei carbonai. Al centro del capannone, la "pizza aji sfrizzoji", le pizze rustiche, le "cucchie" (mele tagliate in quattro pezzi e cotte al forno, unico metodo, in passato, per conservare la frutta il più a lungo possibile), "ji ceracioji", immersi nel loro stesso succo leggermente alcolico ancora tutti interi (simile alla Ratafià piemontese), la pasta, i dolci tipici... Il paese si rilassa nell'atmosfera della festa, circonda De Nicola, tornimpartese tra i tornimpartesi, mentre gli abiti eleganti, i capelli, la pelle si impregnano dell'odore acre del fumo del falò. Impossibile sottrarvisi.

Suscita un guizzo di familiarità e umanità sorprendere l’Onorevole Bafile che cuoce la propria "ventresca aiju zippu", a un passo dal fuoco, parla con i curiosi, si mescola tra i coristi di Tornimparte per cantare i canti popolari abruzzesi. Ormai è una di noi.

Tornimparte, 28 settembre 2006
Marianna Gianforte