"Pane e Frittata": Fotofinish 17-3-1991
Rubrica di satira sportiva di Tom Maso
Eh, no! Non ci si venga a dire come qualcuno sta facendo in questi giorni che i dirigenti dell'Aquila Rugby sono stati davvero dei fessi a farsi sfuggire un campione come "Nembo Kid". I soliti soloni hanno nuovamente gettato la croce addosso al presidente "Alberone" accusandolo di aver combinato con i tre fratellini terribili venuti dal Sud Africa un'altra delle sue proverbiali fesserie. Cioè di aver ceduto alla Polentanum Milano quel razzo umano che tutto il mondo rugbystico invidia all'Italia e che due settimane fa ha ridicolizzato davanti alle telecamere i fortissimi tre-quarti francesi evitandoli come fossero imbecilli birilli.
No, no. Questa è davvero una fesseria. Un'accusa che si vuoi fare al buon Alberone e alla società. Quello che avvenne con i tre fratellini non si può fraintendere nè far finta di dimenticare. Tre, dopo aver fatto fortuna all'Aquila, all'improvviso hanno deciso di giocare d'azzardo alzando la posta. Un gioco al rialzo ingiustificato e inaccettabile per una società come L'Aquila Rugby che vive di sè stessa e dentro sè stessa. Far diventare di letto professionisti tre fratellini (eppoi due, semmai, non tutti e tre come loro pretendevano) avrebbe potuto anche distruggere una squadra. In regime di dilettantismo non formale ma sostanziale, se dai tanto ad un campione devi darlo anche agli altri. A tutti. E dare tanto a tutti avrebbe significato chiudere la baracca dopo soli due mesi. No, non si poteva fare per come stanno le cose all'Aquila, e non solo all'Aquila. A quei tempi nessuno se la sentì di spezzare lance a favore dei fratellini venuti dal Sud Africa. Nessuno. Anzi, tutti dovettero complimentarsi con Alberone di non aver ceduto ad un ricatto. Sì, si trattò di un ricatto se proprio a qualcuno occorre rinfrescare la memoria, fatto su termini spropositati per la mentalità del rugby aquilano, seppur comprensibile da parte dei tre fratellini.
Non si può gettare la croce sopra a Nembo Kid e ad il suo gemello definiti a torto da qualcuno mercenari. Chiunque, forse, lontano da casa e dagli affetti e con una visione diversa della vita, avrebbe tentato di mettere sul mercato al migliore offerente e proprie gambe imbottite di dinamite per cercare di sistemare al meglio se stesso e i suoi fratelli. Chiunque lo avrebbe fatto (e l'avevano già fatto atleti dell'Aquila e dintorni), magari con piu signorilità e scaltrezza. D'altra parte c'è chi, pur di vincere, questi ricatti li accetta di buon grado. Li fa propri. Sua Emittenza. Per esempio. Deve vincere, non può perdere. E come vince nella vita, nel calcio nella pallavolo, nel mondo del cinema e della Tv, a boccette, a briscola e a zicchinetta, non può certo perdere nello sport più nobile ma anche tra i più poveri. Di qui l'apertura delle cataratte per far scorrere fiumi di soldi: pantalone paga, che ne frega. Bisogna vincere, non si può perdere. Cento milioni per Nembo Kid e i suoi fratellini? Altri milioni per prendere i migliori giocatori e costruire una squadra di trenta titolari e non perdere cosi nemmeno una partita? Sciocchezze, quisquiglie, briciole, beneficenza, pochi spiccioli. Ma sua Emittenza non si accorge che così facendo rischia di uccidere il rugby che non ha bisogno di fiumi di denaro buttati a pioggia, ma di persone che siano capaci di pensare, programmare, organizzare le risorse umane ed economiche.
Di una Federazione che invece di perdere tempo dietro a gelosie e beghe di borgata, invece di volersi trasferire definitivamente anche come sede al Nord per trasformarsi in quella che ormai tutti considerano come la Liga Rugby Lombardo-Veneta, pensi a far decollare uno sport stupendo che non riesce ad emergere. E se non ci si riesce, ci sarà pure una ragione. Di chi è la colpa? Forse di Alberone che per salvare i suoi dilettanti è costretto a privarsi di un campione che può fare la differenza con altre squadre? Dilettanti, perdenti, frustrati e "pippe" per essere convocati in Nazionale (come i giocatori dell'Aquila), o professionisti, soddisfatti e rimborsati, presuntuosi da sputare sopra ad una chiamata in azzurro (come i giocatori di Milano e di qualche altra città del Veneto)? La misura sta nel mezzo ma alla Federazione questi discorsi entrano da una porta ed escono subito da un'altra.
Perchè? Chi ha interesse a mantenere questa deleteria promiscuità tra un dilettantismo apparente e un professionismo sostanziale? In fondo la Federugby è un po' come la società Neroverde dove tutti fanno grandi discorsi ma poi alla fine la programmazione e lo sviluppo si vanno a far benedire. E le cose restano sempre come prima. Nel completo caos in cui chi perde è solo il rugby. In questo desolante quadro ci sono giocatori che continuano a mangiare pane e frittata e giocatori che invece vengono ben foraggiati con più nobili risotti e cotolette alla milanese. La partita con la Polentanum, ancora imbattuta in campionato, rappresenta un'occasione unica per dimostrare che si è più forti anche mangiando pane e frittata. Che i terrun possono battere i polentun. Viva i terroni!
No, no. Questa è davvero una fesseria. Un'accusa che si vuoi fare al buon Alberone e alla società. Quello che avvenne con i tre fratellini non si può fraintendere nè far finta di dimenticare. Tre, dopo aver fatto fortuna all'Aquila, all'improvviso hanno deciso di giocare d'azzardo alzando la posta. Un gioco al rialzo ingiustificato e inaccettabile per una società come L'Aquila Rugby che vive di sè stessa e dentro sè stessa. Far diventare di letto professionisti tre fratellini (eppoi due, semmai, non tutti e tre come loro pretendevano) avrebbe potuto anche distruggere una squadra. In regime di dilettantismo non formale ma sostanziale, se dai tanto ad un campione devi darlo anche agli altri. A tutti. E dare tanto a tutti avrebbe significato chiudere la baracca dopo soli due mesi. No, non si poteva fare per come stanno le cose all'Aquila, e non solo all'Aquila. A quei tempi nessuno se la sentì di spezzare lance a favore dei fratellini venuti dal Sud Africa. Nessuno. Anzi, tutti dovettero complimentarsi con Alberone di non aver ceduto ad un ricatto. Sì, si trattò di un ricatto se proprio a qualcuno occorre rinfrescare la memoria, fatto su termini spropositati per la mentalità del rugby aquilano, seppur comprensibile da parte dei tre fratellini.
Non si può gettare la croce sopra a Nembo Kid e ad il suo gemello definiti a torto da qualcuno mercenari. Chiunque, forse, lontano da casa e dagli affetti e con una visione diversa della vita, avrebbe tentato di mettere sul mercato al migliore offerente e proprie gambe imbottite di dinamite per cercare di sistemare al meglio se stesso e i suoi fratelli. Chiunque lo avrebbe fatto (e l'avevano già fatto atleti dell'Aquila e dintorni), magari con piu signorilità e scaltrezza. D'altra parte c'è chi, pur di vincere, questi ricatti li accetta di buon grado. Li fa propri. Sua Emittenza. Per esempio. Deve vincere, non può perdere. E come vince nella vita, nel calcio nella pallavolo, nel mondo del cinema e della Tv, a boccette, a briscola e a zicchinetta, non può certo perdere nello sport più nobile ma anche tra i più poveri. Di qui l'apertura delle cataratte per far scorrere fiumi di soldi: pantalone paga, che ne frega. Bisogna vincere, non si può perdere. Cento milioni per Nembo Kid e i suoi fratellini? Altri milioni per prendere i migliori giocatori e costruire una squadra di trenta titolari e non perdere cosi nemmeno una partita? Sciocchezze, quisquiglie, briciole, beneficenza, pochi spiccioli. Ma sua Emittenza non si accorge che così facendo rischia di uccidere il rugby che non ha bisogno di fiumi di denaro buttati a pioggia, ma di persone che siano capaci di pensare, programmare, organizzare le risorse umane ed economiche.
Di una Federazione che invece di perdere tempo dietro a gelosie e beghe di borgata, invece di volersi trasferire definitivamente anche come sede al Nord per trasformarsi in quella che ormai tutti considerano come la Liga Rugby Lombardo-Veneta, pensi a far decollare uno sport stupendo che non riesce ad emergere. E se non ci si riesce, ci sarà pure una ragione. Di chi è la colpa? Forse di Alberone che per salvare i suoi dilettanti è costretto a privarsi di un campione che può fare la differenza con altre squadre? Dilettanti, perdenti, frustrati e "pippe" per essere convocati in Nazionale (come i giocatori dell'Aquila), o professionisti, soddisfatti e rimborsati, presuntuosi da sputare sopra ad una chiamata in azzurro (come i giocatori di Milano e di qualche altra città del Veneto)? La misura sta nel mezzo ma alla Federazione questi discorsi entrano da una porta ed escono subito da un'altra.
Perchè? Chi ha interesse a mantenere questa deleteria promiscuità tra un dilettantismo apparente e un professionismo sostanziale? In fondo la Federugby è un po' come la società Neroverde dove tutti fanno grandi discorsi ma poi alla fine la programmazione e lo sviluppo si vanno a far benedire. E le cose restano sempre come prima. Nel completo caos in cui chi perde è solo il rugby. In questo desolante quadro ci sono giocatori che continuano a mangiare pane e frittata e giocatori che invece vengono ben foraggiati con più nobili risotti e cotolette alla milanese. La partita con la Polentanum, ancora imbattuta in campionato, rappresenta un'occasione unica per dimostrare che si è più forti anche mangiando pane e frittata. Che i terrun possono battere i polentun. Viva i terroni!