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Ore 3 e 36, L’Aquila torna nell’inferno del terremoto



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L’AQUILA Se hai conosciuto l’orco, non lo dimentichi più. Se torna, la paura è doppia. Se poi torna di notte, e alla stessa ora, la paura ti attanaglia le budella e ti fa scoppiare in un pianto isterico: «Mio Dio, che abbiamo fatto di male?». L’altra notte, più di un aquilano alle fatidiche 3 e 32, s’è svegliato di soprassalto come spesso è capitato a molti in questi sette lunghi-corti anni dal 6 aprile del 2009. Ci si sveglia all’improvviso. La sveglia segna l’ora fatidica. Si accorda l’animo a quella notte, la “notte della fine del mondo”. Lo stomaco si stringe. Si piange. In silenzio. Per non svegliare gli altri.

TRENTADUE
Ecco, l’altra notte più di qualcuno s’è svegliato alle 3 e 32. Come per un presentimento. E alle 3 e 36 l’orco è tornato. Lo stesso. Lui. Maledetto! Le 3 e 36 e, dice l’orario ufficiale dell’Ingv, 32 secondi. T-r-e-n-t-a-d-u-e. L’ora del destino. La targa della paura. Se il terremoto ti coglie nel sonno nel cuore della notte, la prima cosa che un aquilano pensa è se si tratti del solito brutto sogno. La seconda cosa a cui si pensa è «dove mi trovo?»: sono nella mia vecchia casa? Sono sfollato lungo la costa? Sono nel Progetto Case? Sono nel Map? Sono nella mia vecchia casa da poco ristrutturata? Ed è difficile darsi una risposta a interrogativi che rappresentano, ognuno, uno stato d’animo oltre che una condizione di vita. Una volta realizzato dove ci si trovi, si vola verso l’uscio col telefonino in mano (perchè da quella notte è sul comodino al posto del bicchiere d’acqua) per guadagnare la strada, l’aria apreta, la salvezza. A quel punto, dopo la botta d’aria fresca sul viso (fa freddo ad aprile, fa freddo ad agosto, fa sempre freddo...) si realizza: è lui. Maledetto! E magari sei appena rientrato nella tua vecchia casa, riparata, in centro storico dopo aver buttato alle spalle le paure e le angosce. Cercando di guardare al futuro con ottimismo nonostante casa tua sia circondata da polvere, cantieri, autocarri, gru, puzzo di urina, vicoli bagnati di umidità. Lui torna. È lui che scandisce la tua vita. Ha senso essere tornati a vivere in centro storico, nella stessa casa dove dormivi quella domenica notte del 5 aprile 2009, se poi torna l’orco a svegliarti, alla stessa ora, nella stessa camera da letto, nel cuore della notte?

IL CENTRO STORICO
Residenti e turisti del centro storico all’Aquila, l’altra mattina dalle 4 alle 7, a pochi minuti dal sisma, sono stati invitati a uscire da abitazioni e strutture ricettive. I vigili urbani hanno utilizzato il megafono per invitare le persone a lasciare abitazioni e stanze di alberghi e “bed and breakfast” come ad esempio a Palazzo Cappa in via Paganica. Non tutti hanno però accettato l’invito, nonostante, ha raccontato il comandante dei vigili urbani, Ernesto Grippo, la «paura evidente che si respirava in città dopo la scossa che ha colpito una zona che è poco distante dall’Aquila. Ci siamo impegnati fin da subito non soltanto per un’azione di prevenzione, ma anche per dare conforto e assistenza alla tantissima gente che si è riversata in strada dopo la scossa». La paura. Questa domina l’animo degli aquilani. Fino alla follia. Una donna in preda al panico si è lanciata dalla finestra della sua abitazione a Pizzoli, a pochi chilometri dal capoluogo, riportando la frattura di una gamba. Il sindaco, Giovannino Anastasio, che parla di scene di «follia pura», ha spiegato che la signora era rimasta bloccata in casa e non riuscendo ad aprire la porta si è buttata dal primo piano, «rischiando di ammazzarsi». Soccorsa da un’ambulanza, è stata ricoverata all’ospedale “San Salvatore” dell’Aquila, dove di lì a poco sarebbero arrivati anche i feriti da Amatrice e dintorni.

LA RABBIA
«La coincidenza di orario, le 3 e 32 all’Aquila e le 3 e 36 l’altra notte, è incredibile, terrificante. Come all’Aquila un terremoto in piena notte, a tradimento. C’è solo da piangere». così ha commentato il giornalista Giustino Parisse, sfortunato testimonial del terremoto dell’Aquila, sopravvissuto ai propri figli uccisi dall’orco dentro casa, a Onna. «È un film già visto, rivedo tutto quanto successo all’Aquila- continua - c’è gente che piange, gente in pigiama, in mutande in mezzo alla strada». Parisse parla di «tragedia totale» ed esprime «tanta rabbia perché non è possibile che crolli un ospedale». Spiega di aver avuto paura della forte scossa sentita «fortissimo» all’Aquila nonostante viva in una casa in cemento armato. «Purtroppo, queste cose si ripeteranno. Credo che all’Aquila - dice ancora Parisse - si stia sottovalutando tutto, si sta pensando a rattoppare le case più che pensare seriamente al prossimo terremoto». «I terremoti non ci saranno ogni 300 anni ma molto prima», conclude il giornalista.

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Angelo De Nicola