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PAPA RATZINGER DA COLLEMAGGIO ALLE DIMISSIONI



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Prima all’Aquila la deposizione, plateale, del pallio sulla teca contenente le sacre spoglie dell’Eremita del Morrone, poi a Sulmona la definitiva, clamorosa, «riabilitazione» del Capo della Chiesa con Papa Celestino V. A rileggere, oggi, dopo l’annuncio delle dimissioni del Papa, queste due tappe abruzzesi del Pontificato di Benedetto XVI, è difficile non dargli un significato premonitore. Quantomeno anticipatore del clamoroso terremoto che Papa Ratzinger ieri, giorno della Madonna di Lourdes, ha portato nella Storia della Santa Chiesa. Terremoto che passa per Celestino V e per l’Abruzzo.

IL «MIRACOLO» DEL SISMA
Celestino V è un Papa scomodo. Un Papa da dimenticare tanto che nessuno in oltre sette secoli ne ha mai ripreso il nome: Celestino VI, infatti, non esiste. Un Papa imbarazzante per la Chiesa per quelle sue dimissioni, il 13 dicembre del 1294, dopo nemmeno quattro mesi di papato. Tanto imbarazzante quella vicenda delle dimissioni («colui che per viltade fece il gran rifiuto» se i versi di Dante si riferiscono a lui). Fino al punto che un grande Papa quale Giovanni Paolo II, in visita all’Aquila il 30 agosto del 1980, nella sua omelia sul sagrato di Collemaggio non citò mai il nome del “padrone di casa”, sepolto a pochi metri di distanza. Salvo poi andare ad inginocchiarsi davanti alla sua tomba ma “in forma privata”. Nessun Papa, poi, in 719 anni è venuto mai ad aprire la Porta Santa, un Giubileo annuale, istituita da Celestino con la sua famosa Bolla del Perdono con la quale si sancisce che chiunque l’attraversasse, il 28 di agosto, «sinceramente pentito e confessato», avrebbe ottenuto l’indulgenza plenaria. Un gesto rivoluzionario perchè, all’epoca, le indulgenze bisognava pagarle («pecunia non olet”) e invece Celestino concedeva il privilegio del perdono anche ai poveri.
Il 28 aprile del 2009, Papa Ratzinger, nella sua commossa visita nella terra martoriata, compie un gesto clamoroso: passa sotto la Porta Santa di Collemaggio (eccezionalmente aperta fuori tempo per lui) e depone il suo pallio (simbolo del potere papale) sull’urna contenente le spoglie dell’Eremita. «Il sisma ha fatto il miracolo» si disse.

GESTO DI CORAGGIO
Non c’è solo il sisma. Ratzinger ha un piano: la riabilitazione della memoria di quel suo scomodo predecessore, il “vigliacco Celestino” per oltre sette secoli ai margini della Storia, e, soprattutto, di quel suo gesto. Così, l’anno dopo, il 4 luglio 2010, nel pellegrinaggio a Sulmona in occasione degli ottocento anni della nascita dell’Eremita del Morrone, infila una frase ancora più clamorosa: «Celestino V seppe agire secondo coscienza, perciò senza paura e con grande coraggio, anche nei momenti difficili, come quelli legati al suo breve pontificato, non temendo di perdere la propria dignità, ma sapendo che questa consiste nell’essere nella verità». A Sulmona, davanti a quelle spoglie cui aveva già reso omaggio all’Aquila, Benedetto XVI chiude il piano del definitivo riconoscimento di «un povero cristiano» la cui «avventura» era stata non a caso raccontata dall’abruzzese Ignazio Silone. Che nel suo romanzo fa dire all’Eremita: «Il popolo cristiano bada di più a quello che i preti o i frati fanno che a quello che essi dicono».

LE POLEMICHE
L’operazione riabilitazione che, finalmente, tira fuori dalle secche della Storia la figura di Celestino V, scatena un putiferio. Qualcuno, forse, ne intuisce la portata. Al quale L’Aquila (in altre faccende affaccendata) e l’Abruzzo assistono passivamente. Lo storico Franco Cardini, in un’intervista critica apertamente il Pontefice. «Se fossi Papa- dice- ci penserei due volte a riabilitare Celestino V. Storicamente ha più ragioni Dante per condannarlo di quante non ne abbia Benedetto XVI per elogiarlo». Il medievista Cardini è un «fervido estimatore di Joseph Ratzinger», però stavolta dissente «rispettosamente» e giudica «pericoloso» indicare come modello per la Chiesa attuale «colui che fece per viltà il gran rifiuto. Mi pare rischioso e controproducente tracciare paralleli con la situazione odierna».
Interviene autorevolmente il direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, che replica a difesa del Pontefice in un editoriale mentre, in un articolo di fondo sull’Avvenire, l’esperto Mimmo Muolo scrive: «Il Papa che non esita a denunciare la sporcizia nella Chiesa e a chiedere perdono per il male commesso da alcuni suoi figli, il Papa che addita nel peccato il nemico più temibile per le comunità cristiane e che non si rassegna alla dittatura del relativismo etico, pone le premesse per una rivoluzione di non minore portata rispetto a quella messa in atto da Celestino V contro i mali del suo tempo. E il fatto che capiti anche al Pontefice teologo di non essere compreso (fuori e, talvolta, anche dentro la Chiesa) proprio come il santo eremita di otto secoli fa, rafforza ulteriormente il parallelismo».

IL PRECEDENTE DI PAOLO VI
Il piano di Ratzinger era già stato anticipato da un altro Papa, Paolo VI. Con un gesto, secondo alcuni commentatori, «politico» di un Pontefice che avrebbe addirittura meditato di dimettersi per ragioni di salute, Papa Montini visitò il primo settembre 1966 la prigione di Celestino V nella rocca appartenuta a Bonifacio VIII a Fumone (Fr). Qui Paolo VI fece un significativo discorso sul Papa Eremita (facilmente rintracciabile nel sito Internet del Vaticano) e scoprì anche una targa in cui si parla di un Celestino che, «recluso in queste storiche mura», salvò «con l’eroica rinuncia, con la prigionia e con la morte, l’unità della Chiesa». Eroica rinuncia, altro che «gran rifiuto per viltà». L’Osservatore Romano così concluse il resoconto di quel rapido ma assai significativo pellegrinaggio: «Vorremmo aggiungere che in questo tempo in cui i Vescovi sono vivamente invitati a presentare la loro rinunzia, raggiunta che hanno l’età di 75 anni, torna attuale il ricordo della rinunzia al Sommo Pontificato fatta da Celestino, 700 anni fa, con esempio che rimane ancora mirabile per tutti, imitabile a pochi».

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Angelo De Nicola