TRE ANNI FA - SPOSTATA L’AUTO SOTTO LE MACERIE
MA È SOLO CINQUANTA PASSI PIÙ INDIETRO
L’AQUILA - Cinquanta passi. Tanti ne ha fatti, e di certo non in avanti, la «mia» ricostruzione. Di cinquanta passi, da via San Pietro (nell’omonimo quartiere tra i più distrutti, «La piccola Dresda») all’attigua via Coppito, è stata spostata l’ormai famosa auto del mio amico Sandro che, almeno per me, rappresenta una sorta di barometro del post sisma. O meglio, della Ricostruzione Zero.
Scrivevo esattamente un anno fa, in occasione del secondo anniversario: «...Mentre fervevano le operazioni del trasloco dalla casa dei miei genitori, sono riuscito a sfuggire alla vista della squadra dei vigili del fuoco, giustamente inflessibili per evitare inutili rischi, ed ho girato l’angolo dell’isolato tra via Arischia e via Coppito, per cercare di arrivare in piazza San Pietro, ricalpestando, in un assordante silenzio, i luoghi della mia infanzia e adolescenza spensierate. All’angolo di via San Pietro, una fitta al cuore. Sotto il crollo di una casa antica, disabitata quella notte del 6 aprile, c’era ancora l’auto, una berlina Ford scura, del mio amico Sandro la cui abitazione, lì accanto, è ora tutta puntellata. Quella stessa auto che vidi la mattina del 6 aprile di due anni fa, quando, con un paio di ciabatte numero 48 (porto il 41), in pigiama, con una canottiera insanguinata sulla testa a mo’ di turbante a tamponare la ferita aperta sul capo dopo esser rimasto ferito sotto il crollo di un muro di casa mia nella zona di via 20 Settembre, come Conan il Barbaro ero arrivato a sincerarmi che i miei genitori fossero vivi. Due anni sono passati ma quella carcassa di auto è ancora lì: l’ho fotografata col telefonino. Più di ogni altra parola, a testimonianza che nulla si muove nel centro storico. Sì, è vero: l’operazione è titanica. Per la prima volta, probabilmente al mondo, un centro storico così grande (il sesto in Italia per numero di monumenti) viene distrutto da un sisma. Sì, è vero: la ricostruzione dell’Aquila è difficilissima. Ma in due anni non è ancora cominciata, purtroppo. La Ford del mio amico Sandro è ancora lì. Monumento al sisma. Monumento alla Ricostruzione Zero»...
Così, per il terzo anniversario, sono tornato a San Pietro. Con una speranza. Che almeno la carcassa della Ford Ghia di Sandro, dopo tre anni, fosse stata tolta. Che quel simbolo all’immobilismo fosse sparito.
Dal viale Duca degli Abruzzi, ho infilato le scalette di fronte all’Istituto professionale dei Salesiani. La rete di protezione è divelta. Dalla piazzetta San Benedetto (la targa stradale è in piedi: resiste), infilo via San Pietro. Mi batte forte il cuore: l’auto non si vede. La carcassa non c’è. Sì, certo, la casa il cui muro è crollato sull’auto che era lì parcheggiata, non c’è più: è stata quasi totalmente abbattuta dopo essere semicrollata per la scossa. L’auto non c’è! Chissà quando l’hanno tolta? È un anno che non torno a San Pietro. Chissà se hanno avvertito Sandro? Magari lo avverto, ora, io. Sono stato un pessimista a pensare che qual «monumento» fosse ancora lì.
Mi rincuoro. Eppure, girato l’angolo, è tutta una desolazione. Si sente lo stridio del cantiere all’interno della chiesa di San Pietro. Le case, molte antiche, sono scatole vuote, doppiamente, nel senso che, dentro l’involucro, in molti casi puntellato, delle facciate che trasudano storia, non c’è nulla. Qualche panno appeso, ancora, negli stenditoi alle finestre. L’odore di muffa prende alla gola. Un gatto, baldanzoso e paffuto, va a caccia di topi. All’improvviso spunta dai vicoli la sagoma di un giovane con zaino e fotocamera a tracolla. Incrociamo gli sguardi. Nemmeno una parola. Ci ignoriamo, entrambi abusivi nell’inaccessibile Zona Rossa. Ognuno va per la sua strada.
E mentre allungo lo sguardo verso la discesa, che poi sbuca su via Roma, vedo il luccichio di un ammasso di lamiere. Mi avvicino. No...! È la Ford di Sandro. L’hanno «parcheggiata», con cura, su via Coppito davanti al civico 7, quasi all’angolo con via Pretatti, poco prima dell’abitazione che è stata del grande pittore aquilano Amleto Cencioni. Dentro la carcassa è cresciuta l’erba. Nel portabagagli sfondato c’è pure un mazzo di carte e una dama tascabile. Vita che fu. Sosto, a lungo, sconfortato. Torno indietro e conto i passi fin dove era quell’auto il 6 aprile. Cinquanta passi.
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Scrivevo esattamente un anno fa, in occasione del secondo anniversario: «...Mentre fervevano le operazioni del trasloco dalla casa dei miei genitori, sono riuscito a sfuggire alla vista della squadra dei vigili del fuoco, giustamente inflessibili per evitare inutili rischi, ed ho girato l’angolo dell’isolato tra via Arischia e via Coppito, per cercare di arrivare in piazza San Pietro, ricalpestando, in un assordante silenzio, i luoghi della mia infanzia e adolescenza spensierate. All’angolo di via San Pietro, una fitta al cuore. Sotto il crollo di una casa antica, disabitata quella notte del 6 aprile, c’era ancora l’auto, una berlina Ford scura, del mio amico Sandro la cui abitazione, lì accanto, è ora tutta puntellata. Quella stessa auto che vidi la mattina del 6 aprile di due anni fa, quando, con un paio di ciabatte numero 48 (porto il 41), in pigiama, con una canottiera insanguinata sulla testa a mo’ di turbante a tamponare la ferita aperta sul capo dopo esser rimasto ferito sotto il crollo di un muro di casa mia nella zona di via 20 Settembre, come Conan il Barbaro ero arrivato a sincerarmi che i miei genitori fossero vivi. Due anni sono passati ma quella carcassa di auto è ancora lì: l’ho fotografata col telefonino. Più di ogni altra parola, a testimonianza che nulla si muove nel centro storico. Sì, è vero: l’operazione è titanica. Per la prima volta, probabilmente al mondo, un centro storico così grande (il sesto in Italia per numero di monumenti) viene distrutto da un sisma. Sì, è vero: la ricostruzione dell’Aquila è difficilissima. Ma in due anni non è ancora cominciata, purtroppo. La Ford del mio amico Sandro è ancora lì. Monumento al sisma. Monumento alla Ricostruzione Zero»...
Così, per il terzo anniversario, sono tornato a San Pietro. Con una speranza. Che almeno la carcassa della Ford Ghia di Sandro, dopo tre anni, fosse stata tolta. Che quel simbolo all’immobilismo fosse sparito.
Dal viale Duca degli Abruzzi, ho infilato le scalette di fronte all’Istituto professionale dei Salesiani. La rete di protezione è divelta. Dalla piazzetta San Benedetto (la targa stradale è in piedi: resiste), infilo via San Pietro. Mi batte forte il cuore: l’auto non si vede. La carcassa non c’è. Sì, certo, la casa il cui muro è crollato sull’auto che era lì parcheggiata, non c’è più: è stata quasi totalmente abbattuta dopo essere semicrollata per la scossa. L’auto non c’è! Chissà quando l’hanno tolta? È un anno che non torno a San Pietro. Chissà se hanno avvertito Sandro? Magari lo avverto, ora, io. Sono stato un pessimista a pensare che qual «monumento» fosse ancora lì.
Mi rincuoro. Eppure, girato l’angolo, è tutta una desolazione. Si sente lo stridio del cantiere all’interno della chiesa di San Pietro. Le case, molte antiche, sono scatole vuote, doppiamente, nel senso che, dentro l’involucro, in molti casi puntellato, delle facciate che trasudano storia, non c’è nulla. Qualche panno appeso, ancora, negli stenditoi alle finestre. L’odore di muffa prende alla gola. Un gatto, baldanzoso e paffuto, va a caccia di topi. All’improvviso spunta dai vicoli la sagoma di un giovane con zaino e fotocamera a tracolla. Incrociamo gli sguardi. Nemmeno una parola. Ci ignoriamo, entrambi abusivi nell’inaccessibile Zona Rossa. Ognuno va per la sua strada.
E mentre allungo lo sguardo verso la discesa, che poi sbuca su via Roma, vedo il luccichio di un ammasso di lamiere. Mi avvicino. No...! È la Ford di Sandro. L’hanno «parcheggiata», con cura, su via Coppito davanti al civico 7, quasi all’angolo con via Pretatti, poco prima dell’abitazione che è stata del grande pittore aquilano Amleto Cencioni. Dentro la carcassa è cresciuta l’erba. Nel portabagagli sfondato c’è pure un mazzo di carte e una dama tascabile. Vita che fu. Sosto, a lungo, sconfortato. Torno indietro e conto i passi fin dove era quell’auto il 6 aprile. Cinquanta passi.
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Angelo De Nicola