DAL MARTIRIO DI COLLEMAGGIO SI SALVA CELESTINO
L'AQUILA - Nel martirio della città, nel martirio del suo simbolo, la basilica di Collemaggio crollata, Celestino V ha fatto un altro miracolo: si è salvato. L'altra sera sono state ritrovate intatte le reliquie di Pietro l'Eremita sotto le macerie in cui è ridotta la basilica che le ha custodite per secoli fino alla notte della fine del mondo del 6 aprile scorso. La teca con le sacre spoglie è stata trasferita nel vicino torrione poligonale della chiesa. Nella struttura è stato preventivamente effettuato un sopralluogo con verifica statica da parte dei vigili del fuoco e successivamente vi sono state trasferite le spoglie di Papa Celestino V.
Spoglie che hanno avuto una vita travagliata. Come ricorda lo studioso celestiniano Antonio Grano, dopo la sua morte il 19 maggio del 1296 nella rocca di Fumone prigioniereo di Papa Bonifacio VIII, le spoglie di Pietro dal Morrone furono deposte (a causa dei numerosi trafugamenti subiti) in molti luoghi. La prima tomba fu quella di S. Antonio di Ferentino (nei pressi di Fumone, in Ciociaria), dove il martire fu seppellito il 20 maggio 1296. La salma fu chiusa in una semplice urna di legno e fu deposta nel sepolcro scavato nel centro della chiesa.
Nel 1327, il 27 gennaio, Ferentino fu assediata dagli abitanti di Anagni. I ferentinati, per meglio proteggere le spoglie del santo le trasportarono all'interno della città, e le sistemarono dentro la chiesa di Sant'Agata. Ma il priore di Sant'Antonio, «di ciò dolente», ne avvisò il priore di Sora, Davide di Monte Julio e questi diede incarico a tali Biagio di Forca e Pietro di Rasino di trafugare da Sant'Agata le venerande reliquie. Questi obbedirono e penetrarono, con l'aiuto di un complice, entro le mura di Ferentino e quindi, con altro stratagemma, entro la chiesa di Sant'Agata. Smontarono le ossa, le ricomposero e le avvolsero in un lenzuolo. Una donna, per non insospettire, fu incaricata di portarle fuori le mura. Alle guardie disse che l'involucro conteneva un materasso. Appena fuori le mura le spoglie furono prelevate da un drappello di fedeli aquilani i quali le trasportarono a Collemaggio. Inutile fu la collera e le contromisure dei ferentinati. Per loro, però, narra la leggenda, vi fu una consolazione: dentro la cassa ormai vuota, era rimasto vivido e fresco il cuore di fra' Pietro!
La ormai disfatta carcassa del povero eremita restò per lungo tempo nel silenzio di Collemaggio fino a quando quella tomba, finemente adornata e ricca di preziose suppellettili, non fu devastata dalle soldataglie di Filiberto di Chälons principe di Orange, che depredarono il sarcofago per impossessarsi della cassa d'argento e degli altri preziosi in essa contenuti.
Per oltre 300 anni nessuno oserà più disturbare quelle stanche ossa. Poi un giorno, il 18 aprile 1988, qualcuno (questa volta alcuni balordi) ci riprovò sequestrando le spoglie. La stampa nazionale ed estera ne diede ampia notizia. Le spoglie erano custodite in un artistico mausoleo e contenute in un sarcofago in vetro e ottone bronzato con argento sovrapposto, opera, datata 1972, creata dall'orafo aquilano Luigi Cardilli. Nel sarcofago, donato da monsignor Mario Pimpo, prelato romano, ma originario della frazione aquilana di Tempera, erano state collocate le reliquie del santo, già ricomposte nel 1944 per volere di Carlo Confalonieri, in quel periodo arcivescovo dell'Aquila. Nell'occasione il presule pose all'anulare del santo il suo anello vescovile e prestò le sue sembianze alla maschera di cera apposto alle reliquie celestiniane. Fatto davvero singolare: anche l'anello donato dall'arcivescovo fu oggetto, nel 1976, di un tentativo di furto da parte di ladri che cercarono di forzare l'urna. Le spoglie vennero ritrovate nel cimitero di una frazioncina del paese laziale di Rocca Passa in un loculo. La cassa conteneva le spoglie di Celestino V perfettamente conservate, che dalla Questura furono in un primo momento portate nel monastero celestiniano di San Basilio, per una ricognizione da parte delle autorità religiose.
Angelo De Nicola