DIMISSIONI DEL TURCO: MA QUELLO DI CELESTINO NON FU UN GESTO DI VILTA’
Dunque, Ottaviano del Turco non aveva scelto a caso. Tra i libri su cui meditare in cella aveva scelto “L’avventura di un povero cristiano”, un testo nel quale Ignazio Silone, marsicano di Pescina, ha voluto esaltare la figura di Papa Celestino V, raccontandone la drammatica fuga, dopo le clamorose dimissioni, con i suoi fraticelli più fidati, verso l’Oriente forse per ricostruire lì la “chiesa spiritualis”. Fuga bloccata, in Puglia, da un Adriatico in tempesta che consegna fra’ Pietro Angelerio nelle mani degli uomini di Bonifacio VIII il quale imprigiona l’ormai ottantenne Papa dimissionario in un angusta cella della rocca di Fumone.
Dunque, dimissioni. Come Celestino V. E come per Pietro Angelerio è aperto il dibattito sulla valenza del gesto: un “gran rifiuto” dettato dalla vigliaccheria o dal coraggio? Il verso dantesco, secondo gli interpreti principali, ha bollato di “viltà” il nostro Celestino. “Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto” scrive l’Alighieri nel III canto dell’Inferno. Il fraticello in odore di santità, diventato Papa a sorpresa in un momento in cui imperversava la “chiesa carnalis”, di fronte al peso della responsabilità, pavido e vigliacco, si dimette. Questa l’interpretazione del verso dei dantisti più accreditati a cominciare dal primo, il figlio di Dante, Pietro Alighieri.
Ma c’è anche un’altra interpretazione che, a dispetto del blasone dei commentatori più accreditati, si sta facendo sempre più strada in relazione ad alcune verità storiche emerse dal segreto del conclave di Napoli che elesse Benedetto Caetani quale Bonifacio VIII. Il fraticello che ha costruito opere ciclopiche (la basilica di Collemaggio e l’Abbazia morronese, su tutte), inventato le cooperative sociali, fondato l’Ordine (gli “Spirituali”) «più potente che la Chiesa ricordi», il Papa che non ha voluto farsi incoronare a Roma, nè andarci mai, considerando la Curia d’Oltretevere corrotta, il Pontefice che ha concesso il perdono gratis a tutti, quindi anche ai poveri, in un momento in cui l’indulgenza la si doveva lucrare (cioè pagare), questo “Ghandi del Duecento” avrebbe invece avuto il coraggio di rinunciare ad essere l’uomo più potente della terra per tornarsene nei suoi eremi sulla Maiella.
Viltà o coraggio di un “povero cristiano”?
Dunque, dimissioni. Come Celestino V. E come per Pietro Angelerio è aperto il dibattito sulla valenza del gesto: un “gran rifiuto” dettato dalla vigliaccheria o dal coraggio? Il verso dantesco, secondo gli interpreti principali, ha bollato di “viltà” il nostro Celestino. “Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto” scrive l’Alighieri nel III canto dell’Inferno. Il fraticello in odore di santità, diventato Papa a sorpresa in un momento in cui imperversava la “chiesa carnalis”, di fronte al peso della responsabilità, pavido e vigliacco, si dimette. Questa l’interpretazione del verso dei dantisti più accreditati a cominciare dal primo, il figlio di Dante, Pietro Alighieri.
Ma c’è anche un’altra interpretazione che, a dispetto del blasone dei commentatori più accreditati, si sta facendo sempre più strada in relazione ad alcune verità storiche emerse dal segreto del conclave di Napoli che elesse Benedetto Caetani quale Bonifacio VIII. Il fraticello che ha costruito opere ciclopiche (la basilica di Collemaggio e l’Abbazia morronese, su tutte), inventato le cooperative sociali, fondato l’Ordine (gli “Spirituali”) «più potente che la Chiesa ricordi», il Papa che non ha voluto farsi incoronare a Roma, nè andarci mai, considerando la Curia d’Oltretevere corrotta, il Pontefice che ha concesso il perdono gratis a tutti, quindi anche ai poveri, in un momento in cui l’indulgenza la si doveva lucrare (cioè pagare), questo “Ghandi del Duecento” avrebbe invece avuto il coraggio di rinunciare ad essere l’uomo più potente della terra per tornarsene nei suoi eremi sulla Maiella.
Viltà o coraggio di un “povero cristiano”?
Angelo De Nicola