L'ARRESTO DI DEL TURCO: LA LUNGA ”NOTTE” DELL’ABRUZZO
La retata della “Notte di San Camillo” come quella della “Notte di San Michele”? Sì e no.
No, non è come quella notte di sedici anni fa, tra il 29 e 30 settembre del 1992 quando in carcere, accusati di essersi spartiti i fondi europei Pop, finì il presidente regionale Rocco Salini con tutti i suoi assessori, primo caso simile di paralisi istituzionale nel Paese tanto che qualche giornale scrisse, con feroce sarcasmo, che si sarebbe tenuta la “seduta” di Giunta nel parlatoio dell’allora carcere aquilano di “Minicuccio” (San Domenico). Il caso finì pure sul New York Times e l’allora vicerè abruzzese della Dc, Remo Gaspari, parlò di «metodi da Gestapo». Disse: sono stati arrestati in pigiama, svegliati nel cuore della notte, dei galantuomini che dimostreranno la loro innocenza». La profezia si avverò («Ma solo perchè la “casta” ha cambiato la legge sull’abuso d’ufficio» protestò la magistratura abruzzese) tranne che per il solo Salini condannato in via definitiva (per aver confezionato una delibera falsa) ma, comunque, riabilitato dalla politica visto che, dopo l’assessorato regionale alla Sanità (con il presidente Pace) ottenne anche un sottosegretariato, sempre alla Sanità, con il Berlusconi I prima di approdare sotto l’ala di Mastella dell’Udeur alleato di Prodi e di Del Turco.
Ma stavolta, oltre alla totale assenza del tintinnare delle manette, il caso appare diverso. Se possibile più grave del precedente e non soltanto perchè, stavolta, in cella è finito un presidente eletto (e con eccezionale consenso) direttamente dal popolo e perciò “ribattezzato” Governatore e non, come avvenne per Salini, scelto dai consiglieri regionali a sintesi di un accordo a tre Dc-Psi-Pli. In quella notte di sedici anni fa, il Pm Fabrizio Tragnone alzò le vele della Procura della Repubblica dell’Aquila per sfruttare il vento che spirava fortissimo da Milano per l’inchiesta di “Mani pulite” sulla base di un teorema (il “teorema Tragnone” o, come si disse, “il rito ambrosiano”) secondo il quale, disposti gli arresti, si sarebbero trovate e provate le tangenti. Passaggi di denaro che non furono rinvenuti sicchè si derubricò da Tangentopoli a Clientopoli (favori agli amici e agli amici degli amici). Stavolta, secondo il “teorema Trifuoggi” appare il contrario: trovati (e, secondo la Procura di Pescara, provati) i passaggi di denaro si è proceduto ad arresti che non riguarderebbero un enclave politico (Giunta e Consiglio regionali come avvenne nel 1992) ma un intero sistema, trasversale e legato dal vincolo della “continuazione politica” con Masciarelli come “trait d’union”. Perciò la Procura di Pescara rifiuta la definizione di “teorema”.
Ma c’è l’aspetto del “corso e ricorso”. C’è una profonda similitudine, anche qui una sorta di “continuazione politica”, tra le due ”notti”. E cioè, in particolare, la considerazione amara che, politicamente e non solo, per l’Abruzzo sembra non farsi mai giorno per la maledizione del tintinnare notturno delle manette nel Palazzo.
Disse lo storico Raffaele Colapietra alla vigilia del maxiprocesso alla Giunta Salini: «Questo processo mi sembra tanto un accompagno funebre. Già immagino il povero Salini balbettante come Forlani di fronte a Di Pietro. E con la stampa e la Tv ad infierire in questa uccisione di uomini morti. Ma tant’è: l’era di ”zio Remo” è tramontata... In Abruzzo il sistema è caduto per opera della magistratura non certo della politica: la rivoluzione l’ha provocata il Pm Tragnone, non il segretario del Pds, Verticelli».
Dunque, Trifuoggi come Tragnone. Se appare esserci un solco tra i due teoremi accusatori, le conseguenze delle due “notti” appaiono identiche: la caduta di un sistema. E se l’esperienza insegna, ci saranno l’inchiesta, il processo, differenziazioni e puntualizzazioni, sciagallaggi, riabilitazioni e resurrezioni politiche.
La notte dell’Abruzzo è ancora lunga.
No, non è come quella notte di sedici anni fa, tra il 29 e 30 settembre del 1992 quando in carcere, accusati di essersi spartiti i fondi europei Pop, finì il presidente regionale Rocco Salini con tutti i suoi assessori, primo caso simile di paralisi istituzionale nel Paese tanto che qualche giornale scrisse, con feroce sarcasmo, che si sarebbe tenuta la “seduta” di Giunta nel parlatoio dell’allora carcere aquilano di “Minicuccio” (San Domenico). Il caso finì pure sul New York Times e l’allora vicerè abruzzese della Dc, Remo Gaspari, parlò di «metodi da Gestapo». Disse: sono stati arrestati in pigiama, svegliati nel cuore della notte, dei galantuomini che dimostreranno la loro innocenza». La profezia si avverò («Ma solo perchè la “casta” ha cambiato la legge sull’abuso d’ufficio» protestò la magistratura abruzzese) tranne che per il solo Salini condannato in via definitiva (per aver confezionato una delibera falsa) ma, comunque, riabilitato dalla politica visto che, dopo l’assessorato regionale alla Sanità (con il presidente Pace) ottenne anche un sottosegretariato, sempre alla Sanità, con il Berlusconi I prima di approdare sotto l’ala di Mastella dell’Udeur alleato di Prodi e di Del Turco.
Ma stavolta, oltre alla totale assenza del tintinnare delle manette, il caso appare diverso. Se possibile più grave del precedente e non soltanto perchè, stavolta, in cella è finito un presidente eletto (e con eccezionale consenso) direttamente dal popolo e perciò “ribattezzato” Governatore e non, come avvenne per Salini, scelto dai consiglieri regionali a sintesi di un accordo a tre Dc-Psi-Pli. In quella notte di sedici anni fa, il Pm Fabrizio Tragnone alzò le vele della Procura della Repubblica dell’Aquila per sfruttare il vento che spirava fortissimo da Milano per l’inchiesta di “Mani pulite” sulla base di un teorema (il “teorema Tragnone” o, come si disse, “il rito ambrosiano”) secondo il quale, disposti gli arresti, si sarebbero trovate e provate le tangenti. Passaggi di denaro che non furono rinvenuti sicchè si derubricò da Tangentopoli a Clientopoli (favori agli amici e agli amici degli amici). Stavolta, secondo il “teorema Trifuoggi” appare il contrario: trovati (e, secondo la Procura di Pescara, provati) i passaggi di denaro si è proceduto ad arresti che non riguarderebbero un enclave politico (Giunta e Consiglio regionali come avvenne nel 1992) ma un intero sistema, trasversale e legato dal vincolo della “continuazione politica” con Masciarelli come “trait d’union”. Perciò la Procura di Pescara rifiuta la definizione di “teorema”.
Ma c’è l’aspetto del “corso e ricorso”. C’è una profonda similitudine, anche qui una sorta di “continuazione politica”, tra le due ”notti”. E cioè, in particolare, la considerazione amara che, politicamente e non solo, per l’Abruzzo sembra non farsi mai giorno per la maledizione del tintinnare notturno delle manette nel Palazzo.
Disse lo storico Raffaele Colapietra alla vigilia del maxiprocesso alla Giunta Salini: «Questo processo mi sembra tanto un accompagno funebre. Già immagino il povero Salini balbettante come Forlani di fronte a Di Pietro. E con la stampa e la Tv ad infierire in questa uccisione di uomini morti. Ma tant’è: l’era di ”zio Remo” è tramontata... In Abruzzo il sistema è caduto per opera della magistratura non certo della politica: la rivoluzione l’ha provocata il Pm Tragnone, non il segretario del Pds, Verticelli».
Dunque, Trifuoggi come Tragnone. Se appare esserci un solco tra i due teoremi accusatori, le conseguenze delle due “notti” appaiono identiche: la caduta di un sistema. E se l’esperienza insegna, ci saranno l’inchiesta, il processo, differenziazioni e puntualizzazioni, sciagallaggi, riabilitazioni e resurrezioni politiche.
La notte dell’Abruzzo è ancora lunga.
Angelo De Nicola