LA SCONFITTA DI UNA CITTA’: IL MUNICIPIO TRASFORMATO IN UN ”GRAND HOTEL”
Peggio di così, proprio non poteva andare. Per tutti; per Tempesta; per il centrodestra che governa (?); per il centrosinistra che sta all’opposizione (?), ma, soprattutto, per la città.
Tempesta. Il sindaco aveva fatto un ragionamento politico chiaro: «Uno dei mali più gravi di questa città è che non è ben rappresentata in Parlamento. Io penso di poterlo fare meglio». Gli si poteva dire che era un presuntuoso, non che non avesse ben motivato dimissioni che rischiavano di apparire dettate esclusivamente da ambizioni personali. Dopo venti giorni di tira e molla con Forza Italia che gli rispondeva picche, il sindaco fa un primo errore: con la faccia tagliata ritira le dimissioni, acclarando il fatto che prima viene la sua poltrona, poi gli interessi della città. Arrivano le dimissioni-bis. Tempesta, mortificato da FI, reagisce con un ultimo ruggito d’orgoglio: ”PastAracu!”. Un fuoco di paglia. Con la faccia sfregiata, spinge ancora la porta girevole rientrando al Municipio-”Grand Hotel”. E si mette pure a giocare («Non fatelo sapere a nessuno») dimenticando che, in fondo, prendeva in giro solo i cittadini.
Il centrodestra. Nonostante Tempesta avesse ammantato la sua decisione di un ragionamento politico nell’interesse della città, dal Polo non s’è alzata una voce. Nessuno. Né il suo partito, FI, che s’è distinto per un assordante silenzio salvo, dietro le spalle, far circolare non raccontabili valutazioni sullo stato di salute mentale del sindaco; né An che, anzi, ha ritirato i suoi assessori e sollevato la guerra dell’Urbanistica nel momento meno opportuno; né l’Udc, pilatescamente alla finestra; né la fedelissima Fiamma. Un Municipio diventato ”Grand Hotel” e gli ingenerosi schiaffi pescaresi tirati a Tempesta non erano, evidentemente, un problema per chi questa città amministra.
Il centrosinistra. Per l’opposizione, troppo concentrata ad accogliere a braccia aperte i saltafossi, la questione Tempesta è stata ”calda” solo fino a quando sono state in bilico certe candidature al Parlamento. Risolte quelle, il silenzio. Anche da quei leader che pure ”comunicano” su tutto e tutti i giorni. «Tanto Tempesta sarebbe sicuramente rientrato!». Salvi, così, poltroncine e strapuntini che, a fine mese, fanno uno stipendio. Se l’opposizione si fosse dimessa in blocco dal Consiglio, al grido di «Il Municipio non è un Grand Hotel!», dopo venti giorni avrebbe ritirato le dimissioni.
La città. La sfiducia degli aquilani è ai massimi livelli, al punto che il rientro-bis al ”Grand Hotel” di Tempesta è stato vissuto con l’ennesima alzata di spalle. Tanto, lo si è ben capito, ogni decisione è presa dai partiti. E se fossero i cittadini a dare le dimissioni? Di sicuro, dopo venti giorni non le ritirerebbero.
Tempesta. Il sindaco aveva fatto un ragionamento politico chiaro: «Uno dei mali più gravi di questa città è che non è ben rappresentata in Parlamento. Io penso di poterlo fare meglio». Gli si poteva dire che era un presuntuoso, non che non avesse ben motivato dimissioni che rischiavano di apparire dettate esclusivamente da ambizioni personali. Dopo venti giorni di tira e molla con Forza Italia che gli rispondeva picche, il sindaco fa un primo errore: con la faccia tagliata ritira le dimissioni, acclarando il fatto che prima viene la sua poltrona, poi gli interessi della città. Arrivano le dimissioni-bis. Tempesta, mortificato da FI, reagisce con un ultimo ruggito d’orgoglio: ”PastAracu!”. Un fuoco di paglia. Con la faccia sfregiata, spinge ancora la porta girevole rientrando al Municipio-”Grand Hotel”. E si mette pure a giocare («Non fatelo sapere a nessuno») dimenticando che, in fondo, prendeva in giro solo i cittadini.
Il centrodestra. Nonostante Tempesta avesse ammantato la sua decisione di un ragionamento politico nell’interesse della città, dal Polo non s’è alzata una voce. Nessuno. Né il suo partito, FI, che s’è distinto per un assordante silenzio salvo, dietro le spalle, far circolare non raccontabili valutazioni sullo stato di salute mentale del sindaco; né An che, anzi, ha ritirato i suoi assessori e sollevato la guerra dell’Urbanistica nel momento meno opportuno; né l’Udc, pilatescamente alla finestra; né la fedelissima Fiamma. Un Municipio diventato ”Grand Hotel” e gli ingenerosi schiaffi pescaresi tirati a Tempesta non erano, evidentemente, un problema per chi questa città amministra.
Il centrosinistra. Per l’opposizione, troppo concentrata ad accogliere a braccia aperte i saltafossi, la questione Tempesta è stata ”calda” solo fino a quando sono state in bilico certe candidature al Parlamento. Risolte quelle, il silenzio. Anche da quei leader che pure ”comunicano” su tutto e tutti i giorni. «Tanto Tempesta sarebbe sicuramente rientrato!». Salvi, così, poltroncine e strapuntini che, a fine mese, fanno uno stipendio. Se l’opposizione si fosse dimessa in blocco dal Consiglio, al grido di «Il Municipio non è un Grand Hotel!», dopo venti giorni avrebbe ritirato le dimissioni.
La città. La sfiducia degli aquilani è ai massimi livelli, al punto che il rientro-bis al ”Grand Hotel” di Tempesta è stato vissuto con l’ennesima alzata di spalle. Tanto, lo si è ben capito, ogni decisione è presa dai partiti. E se fossero i cittadini a dare le dimissioni? Di sicuro, dopo venti giorni non le ritirerebbero.