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REPORTAGE DAL CARCERE DEI SUICIDI



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SULMONA (L'Aquila) - Lo spioncino punta dritto sul cuscino, in gommapiuma e senza federa, adagiato sulla brandina. Fa un certo effetto ficcare il naso nella cella n.7 del carcere di massima sicurezza di Sulmona. In quella cella, nella notte del Ferragosto scorso, si suicidò l'allora sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, arrestato per un'inchiesta sugli appalti nel centro montano riesplosa in questi giorni. Ieri mattina, nel "braccio" (4 celle) che ospita i detenuti in attesa di giudizio, la n.7 era vuota. È il direttore del carcere, Giacinto Siciliano, a tirare giù lo spioncino mostrando la cella al cronista del Messaggero cui è stato accordato il permesso d'entrare per una visita in quello che, per i precedenti e per i tre casi seguiti a quello di Valentini (10 morti in 12 anni tra cui quello della direttrice, Armida Miserere, uccisasi con la sua pistola nel suo alloggio), è diventato il "carcere dei suicidi". "Assolutamente da chiudere per evitare altre tragedie" a giudizio di Rifondazione e del Codacons.

Passando da un "braccio" all'altro, tra porte e inferriate dipinte di verde e murales lungo le pareti, la "Casa di reclusione" di Sulmona non è l'Alcatraz che t'aspetti. I detenuti si sbracciano di saluti col giovane direttore ("Sono tra le celle giorno e notte") e gli chiedono un colloquio. "Valentini- racconta Siciliano guardando dallo spioncino- s'era coperto il capo con il lenzuolo. Non potevamo sospettare. Ed invece aveva infilato la testa in una busta di plastica stretta con i lacci delle sue scarpe. Una morte cercata con lucida determinazione". I lacci sono stati protagonisti dei casi più recenti mentre la cinghia dei pantaloni ha usato, due settimane fa, Nunzio Gallo, 28enne collaboratore di giustizia. Ecco, direttore, quei lacci...

"Sintetizzando- risponde Siciliano mostrando i laboratori dove i detenuti, tra cui anche alcuni "mammasantissima" (170, su 400 in totale, sono oggi gli ex 41bis ospitati nella struttura), realizzano dei quadri da vendere in beneficenza- la questione di Sulmona e comunque del più ampio fenomeno dei suicidi dietro le sbarre, è tutta qui. Rispettando un regolamento, noi cerchiamo di non ferire la dignità dei detenuti. Non sarebbe un'oppressione tenere sotto controllo un detenuto ogni 5 minuti e spiarlo anche quando va alla toilette? E non potrebbe passare per una sorta d'istigazione questo asfissiante controllo a vista? Bisogna mettersi d'accordo: il carcere di Sulmona è troppo rigido o c'è troppo morbido? Un detenuto che vuol uccidersi può farlo anche fracassandosi la testa contro un muro. Eppoi scatta l'emulazione...".

L'emulazione? Il direttore guida il cronista in una "aula hobby" dove alcuni detenuti stanno confezionando le "pigotte" che l'Unicef venderà in beneficenza. "Sì, l'emulazione- dice Siciliano-. Come nell'ultimo caso, quello di Gallo: voleva solo mettere in scena un tentativo per richiamare l'attenzione. E' scivolato: l'ha dimostrato anche l'autopsia. Dopo ogni suicidio, in molti ci provano: cercano di alzare il prezzo. Ecco, anche questa è una prova dell'osmosi che dovrebbe esserci tra carcere e territorio: si chiede al carcere di risolvere i problemi, ma poi lo si bolla come "maledetto" e se ne chiede la chiusura".

Continuando un lavoro già avviato ed ottenendo il fattivo coinvolgimento di tutto il personale, il dottor Siciliano ha avviato un programma di integrazione tra il carcere (un solo detenuto è della zona) ed il territorio. Lungo il corridoio d'ingresso campeggiano gli scudi realizzati per la Giostra cavalleresca di Sulmona nella falegnameria (ma c'è anche la calzoleria per produrre scarpe e la sartoria per camici): "Vorremmo realizzare oggettistica utile da commercializzare per la Giostra, visto che a Sulmona non c'è nessuno che li produce, e riattivare la tessitoria per far lavorare i detenuti che così si sentirebbero utili e guadagnerebbero pure qualche soldo: un "premio" che daremmo, per dare il buon esempio, a chi sa che rispettando le regole ottiene un privilegio". All'uscita il direttore riprende dalla garritta il suo telefonino: "Nemmeno io lo porto dentro. Per dare il buon esempio".

Angelo De Nicola