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"NOI, LE ALPINE IN MISSIONE DI PACE"



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L'AQUILA - Bentornate a casa. Sì, perché l'"arma" vincente del contingente italiano "Nibbio", il cui ritorno dall'Afghanistan è stato festeggiato ieri all'Aquila nella caserma "Rossi" dove è di stanza il Nono reggimento Alpini Taurinense, è stata proprio la presenza rosa. Una missione, ha sottolineato il ministro della Difesa, Antonio Martino, in un messaggio in cui i soldati italiani (un migliaio di professionisti) sono stati "determinati ma con un grande cuore come li ha definiti un'autorevole fonte americana. Credo- ha affermato Martino- che si tratti di una sintesi che ben inquadra il soldato italiano, per quella felice combinazione di qualità militari, professionali ed umane che, da sempre, ne hanno fatto apprezzare la presenza in ogni circostanza".

Una missione (durata oltre tre mesi a Khost nell'ambito di "Enduring Freedom") che, ha detto nel corso della cerimonia il Capo di Stato maggiore dell'Esercito, generale Gianfranco Ottogalli, "ha anche rappresentato il banco di prova delle Forze Armate italiane trasformatesi, in pochi anni, da organizzazione stanziale votata alla difesa del territorio nazionale, a strumento agile e flessibile, in grado di rispondere alle diversificate e, per certi versi imprevedibili, esigenze del Paese". Una missione rischiosa: "Siamo partiti dall'Italia consapevoli che questa sarebbe stata un'operazione con tanti rischi, dovuti ad attacchi terroristici e azioni da parte di elementi ostili" ha detto il generale Giorgio Battisti, comandante della missione, sottolineando l'ambiente certamente non favorevole, con montagne molto elevate e un clima che in inverno può raggiungere i venti gradi sotto lo zero ed in estate diventa torrido.

Ma le più festeggiate, e non per cavalleria, sono state le cinque alpine alle quali se ne è aggiunta poi una sesta. Loro, con giubbotto antiproiettile, mitra, anfibi e sguardo fiero; le donne afghane con burqa "e gli occhi sempre tristi". Loro hanno preso parte alle operazioni di protezione della base avanzata Salerno; sono entrate nei reparti maternità degli ospedali per distribuire aiuti umanitari e negli orfanotrofi femminili per spiegare i rischi legati alle mine disseminate ovunque.

"È un mondo diverso dal nostro- racconta Rosilda Cupaiolo, 24 anni, di San Buono (Chieti)- c'è tanta povertà in giro. Tante cose che per noi sono scontate lì non ci sono". Una presenza femminile nel contingente è stata, dunque, fondamentale per una serie di attività rivolte proprio alle donne afghane. Il caporal maggiore Roberta Sammartino, 22 anni, ha svolto anche il servizio di scorta ai convogli umanitari: "Abbiamo consegnato materiale didattico alle scuole, lavagne, quaderni. C'erano tanti bambini che con noi parlavano in inglese: all'inizio erano un po' meravigliati. Poi- prosegue- quando ci siamo scoperte il viso alcuni si sono avvicinati, altri volevano toccarci l'uniforme. Le bambine, invece, restavano sempre un po' in disparte".

È, invece, del caporal maggiore Daniela Onis, 23 anni, della Sardegna, la prima foto di un soldato italiano entrato nel reparto maternità di un ospedale afghano. "Abbiamo distribuito aiuti umanitari alle donne ed ai bambini, cercando di comunicare con gli occhi. Poi c'era quel bambino- racconta- e mi andava di prenderlo in braccio, ma la madre all'inizio non si fidava, poi invece me lo ha dato". La fotografia di Daniela che abbraccia il neonato è stata scattata dalla sua collega Rosilda. "Dentro l'ospedale- prosegue Daniela- le donne erano senza burqa ma si coprivano la testa se entrava qualcuno. Stupite e distaccate, all'inizio, di trovarsi davanti ragazze come loro ma con la divisa da soldato, le donne ricoverate in ospedale alla fine hanno tolto lo scialle e qualcuna ha anche riso. Ma abbiamo visto tanti occhi tristi- ricorda ancora Daniela-. Che insegnamento ho tratto da una simile esperienza? La consapevolezza di essere molto fortunata ad essere nata in un Paese libero".