SPALLONE, LA MINACCIA DEL VECCHIO LEONE
AVEZZANO - Il vecchio leone stavolta è ferito davvero. Mario Spallone ("Il buffone di Re Lear", amava stroncarlo Aldo Natoli), negli anni ha sempre difeso il suo branco ("Io sono il capo del clan") ma la condanna a 20 anni, per omicidio volontario, di suo fratello Ilio e suo figlio Marcello è arrivata come un colpo al cuore. Non a caso ieri Mario Spallone, classe 1917, non ha avuto la forza di reagire (tutti i cellulari spenti, nelle sue cliniche non s'è trovato) come, invece, aveva fatto in altri momenti drammatici per i suoi. "Se è vero, dovranno fare i conti con me: li uccido con le mie mani": disse nel giorno dell'arresto, due anni fa.
Mario, il capo del clan, ha ruggito tutta la vita. Fin da quando, a Roma, aveva fatto strada, giovane medico approdato a Botteghe Oscure dalla Marsica dei cafoni così come era capitato al suo conterraneo Ignazio Silone. Proprio al piano terra di Botteghe Oscure, il dottor Spallone aveva aperto un ambulatorio: certificati e prescrizioni alla bisogna e, soprattutto smistamento delle suppliche per operarsi in Russia. "Terra promessa" con la quale "il compagno Mario" avviò fin da allora stretti rapporti (era il sanitario di fiducia anche delle ambasciate dell'Est a Roma) tanto che è stato uno dei pochi occidentali a partecipare a Mosca alle esequie di Raissa, la moglie di Gorbaciov, amico personale di quel medico marsicano che dalla sua tv locale (Atv7, nella sua Avezzano, dove continua arringare i cittadini pur non essendo più sindaco) fece trasmettere perfino un Tg in russo. Togliatti si fidava solo di lui tant'è che una volta, con modi più bruschi del solito, lo mandò a visitare l'onorevole Iotti. La compagna Nilde che Spallone terrà in cura fino alla sua morte, a Villa Luana, vicino a Roma. Luana, il nome di sua moglie; Villa Gina a Roma, il nome di sua madre. Da quel piccolo ambulatorio, Spallone ha creato sei cliniche. Oltre mille dipendenti.
Una vera e propria industria sanitaria gestita dal capo clan (fu Nenni il primo ad usare questo termine per gli Spallone), dai suoi tre fratelli Ascanio, Dario e Ilio (tutti medici, solo il quarto, Giulio, ha scelto la strada della politica e fu deputato, comunista) e dai suoi quattro figli Alfredo, Annamaria, Giancarlo e Marcello (tutti medici).
Un impero che non ha mai scricchiolato nonostante gli spifferi. Come quando l'allora capo dei Servizi, Giovanni Allavena, disse che Mario era un informatore del Sifar ("Usava l'amicizia con Togliatti per carpire informazioni che poi girava a noi"). O come quando Mario finì sott'inchiesta per avere procurato un certificato medico al faccendiere Flavio Carboni (quello del caso Calvi) per fargli evitare una testimonianza. O come quando fu sospettato di avere implicazioni nell'evasione da Villa Gina di Maurizio Abbatino, capo della banda della Magliana. Ne è venuto fuori sempre a testa alta, almeno fino a ieri.
Mario, il capo del clan, ha ruggito tutta la vita. Fin da quando, a Roma, aveva fatto strada, giovane medico approdato a Botteghe Oscure dalla Marsica dei cafoni così come era capitato al suo conterraneo Ignazio Silone. Proprio al piano terra di Botteghe Oscure, il dottor Spallone aveva aperto un ambulatorio: certificati e prescrizioni alla bisogna e, soprattutto smistamento delle suppliche per operarsi in Russia. "Terra promessa" con la quale "il compagno Mario" avviò fin da allora stretti rapporti (era il sanitario di fiducia anche delle ambasciate dell'Est a Roma) tanto che è stato uno dei pochi occidentali a partecipare a Mosca alle esequie di Raissa, la moglie di Gorbaciov, amico personale di quel medico marsicano che dalla sua tv locale (Atv7, nella sua Avezzano, dove continua arringare i cittadini pur non essendo più sindaco) fece trasmettere perfino un Tg in russo. Togliatti si fidava solo di lui tant'è che una volta, con modi più bruschi del solito, lo mandò a visitare l'onorevole Iotti. La compagna Nilde che Spallone terrà in cura fino alla sua morte, a Villa Luana, vicino a Roma. Luana, il nome di sua moglie; Villa Gina a Roma, il nome di sua madre. Da quel piccolo ambulatorio, Spallone ha creato sei cliniche. Oltre mille dipendenti.
Una vera e propria industria sanitaria gestita dal capo clan (fu Nenni il primo ad usare questo termine per gli Spallone), dai suoi tre fratelli Ascanio, Dario e Ilio (tutti medici, solo il quarto, Giulio, ha scelto la strada della politica e fu deputato, comunista) e dai suoi quattro figli Alfredo, Annamaria, Giancarlo e Marcello (tutti medici).
Un impero che non ha mai scricchiolato nonostante gli spifferi. Come quando l'allora capo dei Servizi, Giovanni Allavena, disse che Mario era un informatore del Sifar ("Usava l'amicizia con Togliatti per carpire informazioni che poi girava a noi"). O come quando Mario finì sott'inchiesta per avere procurato un certificato medico al faccendiere Flavio Carboni (quello del caso Calvi) per fargli evitare una testimonianza. O come quando fu sospettato di avere implicazioni nell'evasione da Villa Gina di Maurizio Abbatino, capo della banda della Magliana. Ne è venuto fuori sempre a testa alta, almeno fino a ieri.