ERGASTOLO AL MOSTRO DELLA MAIELLA
L'AQUILA - "Non abbiate pietà di lui: la storia dello straniero emarginato, o dell'uomo che, isolato, diventa lupo, non regge. Era stato accolto come un figlio dal suo datore di lavoro: è un mostro e basta". La Corte d'assise dell'Aquila ieri non ha avuto pietà. Come aveva sollecitato il Pm nella sua durissima requisitoria, il pastore macedone ventiquattrenne Alievi Hasani è stato condannato all'ergastolo per il duplice omicidio di due giovani turiste venete, Diana Olivetti e Tamara Gobbo, avvenuto il 20 agosto del 1997 nei boschi del monte Morrone.
Un massacro che macchiò di sangue la "montagna sacra" a pochi chilometri da Sulmona. Un massacro che rivivrà per sempre davanti agli occhi di Silvia Olivetti, unica scampata dopo aver avuto la forza e il coraggio non solo di salvarsi con una fuga durata sette ore tra le montagne ma anche di testimoniare in aula, con un racconto da film horror, quello che accadde: "Era nudo, sopra a mia sorella. L'ho guardato negli occhi: è lui". Ieri, alla parola "ergastolo", come se quella fuga fosse finita, Silvia è scoppiata in lacrime abbracciandosi a lungo con sua madre. "Provo ancora tanto dolore, questa sentenza non può certo consolare..." ha detto. Poi i singhiozzi le hanno soffocato le parole in bocca.
Indagini-lampo, processo-lampo, sentenza-lampo. In sole due ore di camera di consiglio, la Corte (Villani presidente, Como a latere) ha condannato Alivebi Hasani detto Alì al carcere senza speranza per i reati di omicidio volontario plurimo pluriaggravato, tentativo di omicidio (su Silvia Olivetti), violenza sessuale e porto e detenzione abusiva di armi. Anzi, i giudici sono andati oltre le richieste del Pm Aura Scarsella infliggendo anche la pena accessoria di otto mesi di "isolamento diurno" in cella (l'accusa ne aveva chiesto uno notturno). Sulla decisione della Corte ha pesato con tutta probabilità l'atteggiamento del macedone: abbandonando le vesti del "pazzo" (una perizia psichiatrica lo ha escluso) che aveva indossato per tutto il processo, ieri mattina Alì ha tentato la strada del complotto.
"Sono stato costretto a confessare da un poliziotto - ha detto - che mi ha minacciato di morte. Io non c'entro nulla: ho pascolato tutto il giorno il gregge". Nella precedente dichiarazione spontanea durante il processo, Alì aveva farneticato che "col furto di cavalli di cui mi si accusa non c'entro nulla". Una difesa, la sua, senza speranza soprattutto dopo che i periti avevano escluso una sua incapacità mentale come aveva chiesto di accertare, in avvio del processo, l'avvocato Nino Marazzita, un principe del foro che aveva accettato la richiesta dal carcere del pastore macedone. Ma ieri, Marazzita non c'era.
"Se Hasani è stato ritenuto colpevole dalla Corte - ha spiegato l'altro legale difensore, l'avvocato Giovanni Maria Giaquinto che aveva chiesto l'assoluzione "per non aver commesso il fatto" - ci dobbiamo inchinare di fronte al suo giudizio. Il nostro compito era di far valere le regole per ottenere un giusto processo, anche se non condividiamo la condanna all'ergastolo. Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza per capire quale è stato il motivo grave per infliggere tale pena; è una pronuncia in controtendenza al comune sentire e all'atteggiamento del Parlamento che ha avviato una discussione per eliminare l'ergastolo. Poi faremo appello, puntando tutto sull'annullamento del dibattimento, per il vizio di nullità costituito dai tempi dell'illustrazione della perizia psichiatrica - che doveva stabilire se Hasani era capace di stare in giudizio - perchè successiva all'inizio dello stesso dibattimento". Ergastolo, appunto. "Speriamo di non dover assistere ad una repentina scarcerazione come non è raro vedere nella giustizia italiana - hanno commentato i genitori delle vittime, anche ieri presenti in aula -. Cosa potrebbe accaderci, anche fra 15 anni, se "lui" dovesse essere scarcerato?".
Un massacro che macchiò di sangue la "montagna sacra" a pochi chilometri da Sulmona. Un massacro che rivivrà per sempre davanti agli occhi di Silvia Olivetti, unica scampata dopo aver avuto la forza e il coraggio non solo di salvarsi con una fuga durata sette ore tra le montagne ma anche di testimoniare in aula, con un racconto da film horror, quello che accadde: "Era nudo, sopra a mia sorella. L'ho guardato negli occhi: è lui". Ieri, alla parola "ergastolo", come se quella fuga fosse finita, Silvia è scoppiata in lacrime abbracciandosi a lungo con sua madre. "Provo ancora tanto dolore, questa sentenza non può certo consolare..." ha detto. Poi i singhiozzi le hanno soffocato le parole in bocca.
Indagini-lampo, processo-lampo, sentenza-lampo. In sole due ore di camera di consiglio, la Corte (Villani presidente, Como a latere) ha condannato Alivebi Hasani detto Alì al carcere senza speranza per i reati di omicidio volontario plurimo pluriaggravato, tentativo di omicidio (su Silvia Olivetti), violenza sessuale e porto e detenzione abusiva di armi. Anzi, i giudici sono andati oltre le richieste del Pm Aura Scarsella infliggendo anche la pena accessoria di otto mesi di "isolamento diurno" in cella (l'accusa ne aveva chiesto uno notturno). Sulla decisione della Corte ha pesato con tutta probabilità l'atteggiamento del macedone: abbandonando le vesti del "pazzo" (una perizia psichiatrica lo ha escluso) che aveva indossato per tutto il processo, ieri mattina Alì ha tentato la strada del complotto.
"Sono stato costretto a confessare da un poliziotto - ha detto - che mi ha minacciato di morte. Io non c'entro nulla: ho pascolato tutto il giorno il gregge". Nella precedente dichiarazione spontanea durante il processo, Alì aveva farneticato che "col furto di cavalli di cui mi si accusa non c'entro nulla". Una difesa, la sua, senza speranza soprattutto dopo che i periti avevano escluso una sua incapacità mentale come aveva chiesto di accertare, in avvio del processo, l'avvocato Nino Marazzita, un principe del foro che aveva accettato la richiesta dal carcere del pastore macedone. Ma ieri, Marazzita non c'era.
"Se Hasani è stato ritenuto colpevole dalla Corte - ha spiegato l'altro legale difensore, l'avvocato Giovanni Maria Giaquinto che aveva chiesto l'assoluzione "per non aver commesso il fatto" - ci dobbiamo inchinare di fronte al suo giudizio. Il nostro compito era di far valere le regole per ottenere un giusto processo, anche se non condividiamo la condanna all'ergastolo. Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza per capire quale è stato il motivo grave per infliggere tale pena; è una pronuncia in controtendenza al comune sentire e all'atteggiamento del Parlamento che ha avviato una discussione per eliminare l'ergastolo. Poi faremo appello, puntando tutto sull'annullamento del dibattimento, per il vizio di nullità costituito dai tempi dell'illustrazione della perizia psichiatrica - che doveva stabilire se Hasani era capace di stare in giudizio - perchè successiva all'inizio dello stesso dibattimento". Ergastolo, appunto. "Speriamo di non dover assistere ad una repentina scarcerazione come non è raro vedere nella giustizia italiana - hanno commentato i genitori delle vittime, anche ieri presenti in aula -. Cosa potrebbe accaderci, anche fra 15 anni, se "lui" dovesse essere scarcerato?".