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RAPIMENTO SOFFIANTINI, RIFLETTORI SULL'ABRUZZO



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L'AQUILA - Come i "flash bang", le bombe di luce decisive per la riuscita del blitz dei Nocs all'interno della galleria di Pietrasecca, i riflettori sull'Abruzzo sono stati accecanti. Per quasi cinque giorni con il caso del "sequestro Soffiantini", complicatosi maledettamente per lo spietato assassinio di un giovane agente speciale dei Nocs, l'Abruzzo è stato il teatro della vicenda. Il crocevia di un sequestro di persona. E a nulla sono servite le timide scusanti di chi ha cercato di sostenere che tutto era avvenuto nel Lazio (Riofreddo, teatro del primo blitz andato male, è a cinque chilometri dal confine abruzzese). L'altra sera, nel blitz stavolta riuscito, il teatro è tornato tutto nei confini abruzzesi: i seicento metri tra il casello di Tagliacozzo e la galleria di Pietrasecca.

Non è questione di confini. Mentre i riflettori del caso Soffiantini si spostano tutti in Maremma a caccia della prigione dell'imprenditore lombardo, l'Abruzzo resta "illuminato". A giorno. Ieri gli investigatori, sia a livello centrale (Sco e Criminalpol) sia locale (Questura dell'Aquila e Commissariato di Avezzano), a mente fredda e con le prime ore di sonno fatte dopo tre nottate in bianco, hanno ribadito che non è stato casuale il fatto che tutta la scena si sia svolta in qual fazzoletto di quindici chilometri tra Riofreddo- Carsoli- Pietrasecca.

L'Anonima sarda, o almeno la "colonna" che fa capo a Giovanni Farina (il sardo non rientrato dopo un permesso mentre era detenuto per sequestri di persona) e che passa per Mario Moro (il bandito rimasto gravemente ferito nella sparatoria a Pietrasecca), aveva scelto accuratamente questa zona impervia dell'Abruzzo. Perché aveva appoggi locali? La polizia non lo esclude, visto che già qualche anno fa è suonato l'allarme "pastori sardi". In particolare fu un altro blitz, quello per il sequestro Belardinelli, a ipotizzare qualche collegamento tra l'Abruzzo e l'Anonima sarda: i Nocs intercettano i rapitori del "re del caffè" sul "tronchetto", guarda caso, dell'autostrada A24 Roma-L'Aquila. Ancora, sempre l'A24. D'altra parte, i tre banditi bloccati a Pietrasecca mentre Mastio (l'esca della polizia) cercava di portarli in salvo, hanno resistito tre giorni e soprattutto tre notti in quel triangolo che sembrava averli inghiottiti. Nemmeno i rastrellamenti a tappeto degli esperti forestali hanno portato a trovare il benchè minimo indizio. Quindici chilometri, battuti a tappeto: nessuna traccia.

"Senza Mastio, non li avremmo mai trovati", s'è lasciato sfuggire uno degli inquirenti. Chi li ha coperti? Chi li ha ospitati? Chi fatto conoscere loro, palmo a palmo, tutti i segreti di una sorta di jungla tanto simile alla Barbagia? Barbagia, anzi "Barbagia rossa". Eccolo un altro collegamento con l'Abruzzo che è saltato subito all'occhio degli investigatori. La famiglia di pastori sardi di Mario Moro, nel 1986, ospitò Giuseppe Di Cecco, il brigatista rosso della colonna torinese "Mara Cagol", dopo la sua evasione dall'ospedale maggiore di Novara. Di Cecco, originario di Fara San Martino, in provincia di Chieti. Ma l'abitazione dei sardi, un casolare a Ginestreto di Sogliano sul Rubicone, in Romagna, era tenuta sotto controllo dalla polizia perché sospettata di essere un punto importante per lo smercio degli stupefacenti e gli agenti vi fecero quindi irruzione trovando il terrorista. Ci riprovò il 16 dicembre del 1987, evadendo dal carcere di Fossombrone, nell'alto Pesarese, addirittura insieme con Felice Maniero.

Moro, pezzo da novanta della criminalità sarda trapiantata nella Romagna, era il capo del commando che ha ucciso l'ispettore dei Nocs. Forse, dicono gli investigatori, è stato lui a sparare. D'altra parte è stato Moro ad uscire per primo dall'auto dopo il finto tamponamento sotto la galleria di Pietrasecca imbracciando una potente pistola e cercando si sparare sui Nocs. Moro conosceva bene la zona del Carsolano. Tanto è vero che, è trapelato ieri, già qualche giorno fa, quella zona era stata scelta per un precedente tentativo di abboccamento (dal quale sarebbe potuto nascere un blitz di Nocs) tra i rapinatori di Soffiantini ed i mediatori, ai quali si erano sostituiti alcuni agenti speciali ed in particolare l'ispettore ucciso, Samuele Donatoni.

È probabile che da tempo la banda stesse soggiornando in quei paraggi per studiare i possibili rischi e le vie di fuga. Qualcuno li ha protetti. Forse la malavita locale, o comunque, qualcuno che ha rapporti con la criminalità organizzata. Dunque, in Abruzzo i riflettori non si spengono. Anzi, l'intera vicenda certifica che la criminalità, anche in Abruzzo, ha definitivamente cambiato spessore soprattutto nella zona della Marsica (e dell'attiguo Carsolano). Una zona al crocevia tra i flussi criminali della Camorra, della malavita romana e, ora anche dell'asse verso la Maremma (e la Romagna) dell'Anonima sarda. Più che un campanello dall'allarme, in Abruzzo è esploso un potente "flash-bang". Paralizzarsi farebbe il gioco degli avversari.