COME E' CAMBIATO L'ABRUZZO
L'AQUILA - Come è cambiato l'Abruzzo! Fino a due mesi fa, nell'immaginario collettivo era ancora una "terra di pastori". Poi un pastore (macedone, perchè gli abruzzesi non praticano più l'antico mestiere nonostante le continue richieste dell'Ufficio di collocamento) massacrò due giovani turiste sui monti della Maiella. Da ieri, dopo quella maledetta raffica di kalashnikov che ha ucciso un poliziotto, l'Abruzzo "forte e gentile" potrebbe essere anche la terra dove vengono nascosti i sequestrati. È solo un'ipotesi, certo, che l'industriale Soffiantini possa essere nascosto, come un ago in un pagliaio, tra le montagne d'Abruzzo. Ma non deve essere casuale che per un incontro-trappola, i banditi abbiano scelto proprio le montagna abruzzesi. "Riofreddo è nel Lazio, in provincia di Roma" si affannano a precisare alla Questura dell'Aquila. Come se quei cinque chilometri che separano questo paesino dal confine con l'Abruzzo, con la Marsica, potessero bastare a fungere da air-bag contro la criminalità organizzata. Come se si volesse negare l'evidenza e convincersi che l'Abruzzo è ancora "un'isola felice", come amava descrivere la sua regione l'ex ministro e padre padrone dell'ex Dc abruzzese, Remo Gaspari.
Un'immagine ormai tramontata nonostante qualcuno non ne ha mai voluto prendere coscienza, dai primi degli anni Novanta. È del 1992 il primo allarme: fu l'allora Procuratore generale Filoreto D'Agostino a parlare del rischio di infiltrazioni mafiose nella regione. Nel 1993, l'allora commissario della Commissione parlamentare antimafia, senatore Carlo Smuraglia, così concludeva la sua relazione sull'Abruzzo: "La crisi economica e politica, le occasioni di reinvestimenti di capitali di illecita provenienza, una illiceità diffusa nelle pubbliche amministrazioni, la contiguità con regioni ad alto insediamento mafioso, la subcultura dell'omertà che sembra stia diffondendosi ovunque e tanti altri fattori negativi emersi nel corso delle audizioni, costituiscono un intreccio altamente pericoloso e se non fanno dell'Abruzzo una regione attualmente preda delle organizzazioni mafiose, non ne fanno neppure la tanto favoleggiata "isola felice"".
Sono passati quasi cinque anni. Gli allarmi si sono fatti sempre più incessanti (soprattutto da parte del Procuratore di Pescara, Enrico Di Nicola) e le visite della Commissione Antimafia (l'ultima un mese fa del presidente Ottaviano Del Turco dopo l'ennesimo "sos" lanciato dal Pm Di Nicola) si sono intensificate. Ma soprattutto, si è assistito ad un'esplosione di fattacci targati criminalità organizzata, fino addirittura alla scoperta, un mese fa a Pescara, di una raffineria di cocaina gestita da un "cartello" colombiano. In evidenza, spesso color rosso sangue, in due zone: lungo la costa adriatica sempre più sotto il tallone della Sacra Corona Unita pugliese e della nuova mafia albanese e in quella sorta di "cuscinetto" tra Roma e Napoli, nella Marsica appunto. Quella Marsica dove, l'altra notte, una raffica di mitra ha svegliato i pastori. Quella Marsica dove potrebbe nascondersi o aver trovato appoggi la banda che ha sequestrato l'imprenditore Soffiantini. Ed ucciso un poliziotto a sangue freddo.
Un'immagine ormai tramontata nonostante qualcuno non ne ha mai voluto prendere coscienza, dai primi degli anni Novanta. È del 1992 il primo allarme: fu l'allora Procuratore generale Filoreto D'Agostino a parlare del rischio di infiltrazioni mafiose nella regione. Nel 1993, l'allora commissario della Commissione parlamentare antimafia, senatore Carlo Smuraglia, così concludeva la sua relazione sull'Abruzzo: "La crisi economica e politica, le occasioni di reinvestimenti di capitali di illecita provenienza, una illiceità diffusa nelle pubbliche amministrazioni, la contiguità con regioni ad alto insediamento mafioso, la subcultura dell'omertà che sembra stia diffondendosi ovunque e tanti altri fattori negativi emersi nel corso delle audizioni, costituiscono un intreccio altamente pericoloso e se non fanno dell'Abruzzo una regione attualmente preda delle organizzazioni mafiose, non ne fanno neppure la tanto favoleggiata "isola felice"".
Sono passati quasi cinque anni. Gli allarmi si sono fatti sempre più incessanti (soprattutto da parte del Procuratore di Pescara, Enrico Di Nicola) e le visite della Commissione Antimafia (l'ultima un mese fa del presidente Ottaviano Del Turco dopo l'ennesimo "sos" lanciato dal Pm Di Nicola) si sono intensificate. Ma soprattutto, si è assistito ad un'esplosione di fattacci targati criminalità organizzata, fino addirittura alla scoperta, un mese fa a Pescara, di una raffineria di cocaina gestita da un "cartello" colombiano. In evidenza, spesso color rosso sangue, in due zone: lungo la costa adriatica sempre più sotto il tallone della Sacra Corona Unita pugliese e della nuova mafia albanese e in quella sorta di "cuscinetto" tra Roma e Napoli, nella Marsica appunto. Quella Marsica dove, l'altra notte, una raffica di mitra ha svegliato i pastori. Quella Marsica dove potrebbe nascondersi o aver trovato appoggi la banda che ha sequestrato l'imprenditore Soffiantini. Ed ucciso un poliziotto a sangue freddo.