CASALI D’ASCHI: FU UNA FAIDA
Fu una ”faida” per vendetta: la sera del 29 settembre ’88 a Casali d’Aschi, borgata di Ortona dei Marsi, ad assassinare a coltellate il contadino di 65 anni Attilio Mari fu non solo il ”capofamiglia” dei D.S., un pastore di 66 anni Armando, ma anche i suoi due figli, Pietro, ingegnere di 36 anni e Tonino, geometra di 25. Così ha deciso, ieri, la Corte d’Assise d’Appello di Roma. I giudici hanno condannato, per concorso in omicidio volontario, Pietro D.S. a 13 anni e suo fratello Tonino a 9 anni: è stata invece assolta la madre dei due, la casalinga di 57 anni Maria G.. Per il pastore resta la condanna, mai messa in discussione, a 20 anni.
La Corte romana ha compiuto il quarto esame di una storia d’altri tempi, tempi in cui ci si faceva giustizia da soli, che sconvolse tutto l’Abruzzo. Una ”spedizione punitiva” apparve alla Corte d’Assise dell’Aquila nel novembre ’88, quella che compirono i quattro Di Salvatore contro i Mari in quella sera. Nel pomeriggio, i due ”capi” Armando e Attilio ebbero una discussione, non certo la prima. I Mari accusarono il pastore di aver ”scapotato” col suo gregge su un campo di loro proprietà coltivato ad erba medica e lo malmenarono. Vedendo tornare a casa malconcio il pastore, la sua famiglia decise di farla pagare ai Mari e venne organizzata la spedizione che si concluse con l’accoltellamento a morte del capofamiglia rivale.
In primo grado i quattro vennero tutti condannati: 20 anni ad Armando, 13 al figlio Pietro e 12 a Tonino e a sua madre. In appello, la sorpresa. Accogliendo la tesi della difesa (avvocati Bernardino Marinucci e Gaito) che un solo coltello, e quindi una sola mano avesse ucciso Attilio Mari, nel maggio ’89, i giudici condannarono solo Armando, assolvendo gli altri tre per insufficienza di prove. Questa sentenza, impugnata dalla Procura generale, venne annullata nel novembre ’89 dalla Cassazione che rinvio gli atti ad un’altra corte d’Assise d’Appello che ha deciso ieri. La difesa ha preannunciato un nuovo ricorso in Cassazione.
La Corte romana ha compiuto il quarto esame di una storia d’altri tempi, tempi in cui ci si faceva giustizia da soli, che sconvolse tutto l’Abruzzo. Una ”spedizione punitiva” apparve alla Corte d’Assise dell’Aquila nel novembre ’88, quella che compirono i quattro Di Salvatore contro i Mari in quella sera. Nel pomeriggio, i due ”capi” Armando e Attilio ebbero una discussione, non certo la prima. I Mari accusarono il pastore di aver ”scapotato” col suo gregge su un campo di loro proprietà coltivato ad erba medica e lo malmenarono. Vedendo tornare a casa malconcio il pastore, la sua famiglia decise di farla pagare ai Mari e venne organizzata la spedizione che si concluse con l’accoltellamento a morte del capofamiglia rivale.
In primo grado i quattro vennero tutti condannati: 20 anni ad Armando, 13 al figlio Pietro e 12 a Tonino e a sua madre. In appello, la sorpresa. Accogliendo la tesi della difesa (avvocati Bernardino Marinucci e Gaito) che un solo coltello, e quindi una sola mano avesse ucciso Attilio Mari, nel maggio ’89, i giudici condannarono solo Armando, assolvendo gli altri tre per insufficienza di prove. Questa sentenza, impugnata dalla Procura generale, venne annullata nel novembre ’89 dalla Cassazione che rinvio gli atti ad un’altra corte d’Assise d’Appello che ha deciso ieri. La difesa ha preannunciato un nuovo ricorso in Cassazione.
NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.