NON FU UNA FAIDA: TRE ASSOLTI
L’AQUILA -Il più contento, alla fine, era lui, il ”capofamiglia”. Pur condannato a 21 anni di reclusione all’ergastolo considerando l’età avanzata, sua moglie ma soprattutto i suoi due giovani figli che con tanti sacrifici aveva fatto studiare, sono stati assolti dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila e scarcerati. Ora potranno tentare di rifarsi una vita di dimenticare quella maledetta notte di sangue e gli otto mesi di carcere.
Armando D.S., 64 anni, pastore di Casali d’Aschi, una borgata della Marsica, s’era sempre accusato di tutto. Aveva ripetuto che quella notte del 29 settembre ’88, fu solo lui ad accoltellare a morte, per vendetta, Attilio, 66 anni, pastore ”capofamiglia” dei Mari che nel pomeriggio lo avevano malmenato poichè aveva fatto pascolare il gregge su un loro campo. Lo aveva ribadito in una accorata lettera dal carcere: «Sono stato io, i figli non c’entrano». In primo grado, nel dicembre scorso, non era stato creduto e la Corte d’Assise aveva condannato lui a venti anni di reclusione; suo figlio Tonino, geometra di 25 anni, a tredici; suo figlio Pietro, ingegnere di 35, e sua moglie Maria G., casalinga di 54, a dodici.
Ieri, a tarda sera, dopo un’estenuante udienza durata tutta la giornata. Dopo le pesanti richieste del Procuratore generale, dottor Luigi Grilli, che aveva chiesto la condanna per tutti per omicidio volontario, con l’attenuante della provocazione, a 18 anni di reclusione per Armando, 20 per Tonino, 16 per Pietro e 14 per la madre. Dopo due ore e mezza di camera di consiglio, la sentenza a sorpresa: 21 anni di reclusione ad Armando, riconosciuto colpevole anche delle lesioni nei confronti di Ersilio Mari, figlio della vittima (anche lui accoltellato), accusa che in un primo momento, e nei termini di tentato omicidio, era stata mossa a Tonino; assolti, per insufficienza di prove, gli altri tre. I quattro D.S. sono scoppiati in lacrime.
La Corte (Tarquini presidente, Romano a latere, più sei giudici popolari) ha accolto la tesi della difesa. Gli avvocati Bernardino ed Enrico Marinucci dell’Aquila, Ferdinando Margutti di Avezzano ed Enzo Gaito di Roma, sono tornati a sostenere in Appello che quella sera l’arma fu una sola e non due come l’accusa sosteneva.Un solo coltello, una sola mano. Disattesa invece la tesi del rappresentante dell’accusa il quale aveva puntato molto proprio sul ferimento di Ersilio. Il Pg aveva detto di non essere d’accordo con l’interpretazione fatta dalla Corte di primo grado che per Tonino aveva derubricato l’accusa di tentato omicidio in lesioni. Secondo il Pg il giovane voleva uccidere Emilio: «Non si mirano due coltellate alla schiena solo per far male- ha detto-: le intenzioni erano omicide. Anche perchè, come ha sostenuto la stessa difesa, proprio Tonino è uscito di casa per primo con cattive intenzioni seguito dalla famiglia. Proprio lui ha scagliato il sasso contro la finestra dei Mari. I tre però non gli sono andati dietro per fermarlo, come si vuole sostenere, tanto è vero che sono usciti con due coltelli».
Per l’accusa fu una faida, per i giudici d’Appello no. Intanto due famiglie, «per quattro stupide pecore», hanno perduto, in modi diversi, i loro ”capifamiglia” e saranno, per sempre, segnate da una storia d’altra tempi. Tempi in cui ci si faceva giustizia da soli.
Armando D.S., 64 anni, pastore di Casali d’Aschi, una borgata della Marsica, s’era sempre accusato di tutto. Aveva ripetuto che quella notte del 29 settembre ’88, fu solo lui ad accoltellare a morte, per vendetta, Attilio, 66 anni, pastore ”capofamiglia” dei Mari che nel pomeriggio lo avevano malmenato poichè aveva fatto pascolare il gregge su un loro campo. Lo aveva ribadito in una accorata lettera dal carcere: «Sono stato io, i figli non c’entrano». In primo grado, nel dicembre scorso, non era stato creduto e la Corte d’Assise aveva condannato lui a venti anni di reclusione; suo figlio Tonino, geometra di 25 anni, a tredici; suo figlio Pietro, ingegnere di 35, e sua moglie Maria G., casalinga di 54, a dodici.
Ieri, a tarda sera, dopo un’estenuante udienza durata tutta la giornata. Dopo le pesanti richieste del Procuratore generale, dottor Luigi Grilli, che aveva chiesto la condanna per tutti per omicidio volontario, con l’attenuante della provocazione, a 18 anni di reclusione per Armando, 20 per Tonino, 16 per Pietro e 14 per la madre. Dopo due ore e mezza di camera di consiglio, la sentenza a sorpresa: 21 anni di reclusione ad Armando, riconosciuto colpevole anche delle lesioni nei confronti di Ersilio Mari, figlio della vittima (anche lui accoltellato), accusa che in un primo momento, e nei termini di tentato omicidio, era stata mossa a Tonino; assolti, per insufficienza di prove, gli altri tre. I quattro D.S. sono scoppiati in lacrime.
La Corte (Tarquini presidente, Romano a latere, più sei giudici popolari) ha accolto la tesi della difesa. Gli avvocati Bernardino ed Enrico Marinucci dell’Aquila, Ferdinando Margutti di Avezzano ed Enzo Gaito di Roma, sono tornati a sostenere in Appello che quella sera l’arma fu una sola e non due come l’accusa sosteneva.Un solo coltello, una sola mano. Disattesa invece la tesi del rappresentante dell’accusa il quale aveva puntato molto proprio sul ferimento di Ersilio. Il Pg aveva detto di non essere d’accordo con l’interpretazione fatta dalla Corte di primo grado che per Tonino aveva derubricato l’accusa di tentato omicidio in lesioni. Secondo il Pg il giovane voleva uccidere Emilio: «Non si mirano due coltellate alla schiena solo per far male- ha detto-: le intenzioni erano omicide. Anche perchè, come ha sostenuto la stessa difesa, proprio Tonino è uscito di casa per primo con cattive intenzioni seguito dalla famiglia. Proprio lui ha scagliato il sasso contro la finestra dei Mari. I tre però non gli sono andati dietro per fermarlo, come si vuole sostenere, tanto è vero che sono usciti con due coltelli».
Per l’accusa fu una faida, per i giudici d’Appello no. Intanto due famiglie, «per quattro stupide pecore», hanno perduto, in modi diversi, i loro ”capifamiglia” e saranno, per sempre, segnate da una storia d’altra tempi. Tempi in cui ci si faceva giustizia da soli.
NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.