OMICIDIO NEL CARCERE DI SULMONA: 21 ANNI A DI CURZIO
L’AQUILA - L’”omicidio sotto la doccia” nel carcere della Badia di Sulmona che costò la vita al detenuto romano Sisto Nardinocchi, 35 anni, ex luogotenente dei boss della malavita romana ”Lallo lo zoppo”, non fu un delitto su commissione e ad uccidere fu l’altro recluso Mario D.C., 30 anni, anche lui romano.
A questa conclusione è giunta ieri la Corte d’Assise dell’Aquila (Tatozzi presidente, Tragnone a latere) che ha condannato D.C. a 21 anni di reclusione e 4 mesi di arresto per la detenzione illegale del coltello-punteruolo, i cui colpi ferirono a morte Nardinocchi mentre faceva la doccia in carcere. Una sentenza che è in pratica la ”fotocopia” del processo che si tenne, sempre davanti alla Corte d’Assise aquilana, nel novembre dell’84. Il procedimento per il ”delitto sotto la doccia” ha infatti avuto un iter travagliato.
Il fatto di sangue avvenne il 31 agosto dell’83. Si ipotizzò il ”regolamento di conti”. Le indagini portarono all’incriminazione di Di Curzio che avrebbe svolto il ruolo di ”killer”. Il mandante sarebbe stato invece identificato nel pregiudicato pescarese Antonio M., mentre ”fiacheggiatori” sarebbero stati Claudio M., Nicola D.C., e gli altri quattro detenuti Ercole P., Bruno D., Claudio C. e Mohamed M. i quali si sarebbero prestati a ricevere, per posta, ciascuno una parte dei 5 milioni promessi a D.C. come ”compenso”. In Assise, però, i sette imputati furono assolti con formula piena, mentre D.C. fu condannato a 21 anni di reclusione per omicidio volontario. In secondo grado, la Corte d’Assise d’Appello annullò (primo caso in Italia) il processo. Venne accolta l’eccezione dell’avvocato difensore di D.C., Bernardino Marinucci del foro dell’Aquila, che si appellò alla mancata osservanza rigorosa di una legge che disponeva sulla composizione del collegio giudicante della Corte d’Assise. Per un ”cavillo” giuridico, procedimento ”azzerato” e atti rinviati (di nuovo) all’Assise.
Ieri la Corte ha, dunque, condannato D.C. accogliendo le richieste del Pubblico ministero Piccioli, che ha scartato l’ipotesi, sostenuta dalla difesa sulla base di una perizia psichiatrica, della seminfermità di mente dell’accusato.
A questa conclusione è giunta ieri la Corte d’Assise dell’Aquila (Tatozzi presidente, Tragnone a latere) che ha condannato D.C. a 21 anni di reclusione e 4 mesi di arresto per la detenzione illegale del coltello-punteruolo, i cui colpi ferirono a morte Nardinocchi mentre faceva la doccia in carcere. Una sentenza che è in pratica la ”fotocopia” del processo che si tenne, sempre davanti alla Corte d’Assise aquilana, nel novembre dell’84. Il procedimento per il ”delitto sotto la doccia” ha infatti avuto un iter travagliato.
Il fatto di sangue avvenne il 31 agosto dell’83. Si ipotizzò il ”regolamento di conti”. Le indagini portarono all’incriminazione di Di Curzio che avrebbe svolto il ruolo di ”killer”. Il mandante sarebbe stato invece identificato nel pregiudicato pescarese Antonio M., mentre ”fiacheggiatori” sarebbero stati Claudio M., Nicola D.C., e gli altri quattro detenuti Ercole P., Bruno D., Claudio C. e Mohamed M. i quali si sarebbero prestati a ricevere, per posta, ciascuno una parte dei 5 milioni promessi a D.C. come ”compenso”. In Assise, però, i sette imputati furono assolti con formula piena, mentre D.C. fu condannato a 21 anni di reclusione per omicidio volontario. In secondo grado, la Corte d’Assise d’Appello annullò (primo caso in Italia) il processo. Venne accolta l’eccezione dell’avvocato difensore di D.C., Bernardino Marinucci del foro dell’Aquila, che si appellò alla mancata osservanza rigorosa di una legge che disponeva sulla composizione del collegio giudicante della Corte d’Assise. Per un ”cavillo” giuridico, procedimento ”azzerato” e atti rinviati (di nuovo) all’Assise.
Ieri la Corte ha, dunque, condannato D.C. accogliendo le richieste del Pubblico ministero Piccioli, che ha scartato l’ipotesi, sostenuta dalla difesa sulla base di una perizia psichiatrica, della seminfermità di mente dell’accusato.
NOTA: Per una sorta di "diritto all'oblio", sono omesse le complete generalità di alcuni protagonisti che, d'altra parte, non aggiungerebbero nulla al dramma e che, peraltro, sono pubblicate nella versione originale cartacea facilmente consultabile nelle pubbliche emeroteche.