L'Utopia che Dà Corpo alla Creatività
Introduzione al libro "Trenta Passi- Non solo teatro 1978- 2008"
per il trentennale dell'Uovo
Gennaio 2009
di ANGELO DE NICOLA
di ANGELO DE NICOLA
“Meglio una gallina oggi che un uovo domani” o l’esatto contrario, “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”? L’antico proverbio è talmente usato (e abusato) che le due versioni, pur diametralmente e filosoficamente opposte, sono entrambe accreditate.
Dunque, anche la saggezza popolare ha due approcci, diametralmente e filosoficamente opposti, con quella che, da sempre, è stata una costante (pre)occupazione dell’animo umano: il futuro. Nella prima versione (“Meglio una gallina…”) si vuol esprimere grande sfiducia nel futuro perchè senza la gallina non ci saranno uova nè domani nè mai. Nella seconda versione (“Meglio un uovo...”), si vuol esprimere sfiducia nel realizzare maggiori vantaggi in futuro, per cui è più conveniente contentarsi del poco certo dell’oggi (l’uovo) senza correre rischi sul domani (la gallina).
Detta così, facendo ricorso alla saggezza popolare, la scelta della singolare denominazione “L’Uovo” (che, diciamolo, fa proprio simpatia!) potrebbe quindi significare l’antitesi di chi crede nel futuro. Oggi o domani, l’uovo, rispetto alla stessa gallina, sarebbe soltanto un meschino rifugio nel pragmatismo, nell’ordinario.
E invece, sta tutta qui, già nella scelta avanguardistica del nome la grandezza ciclopica di questi intellettuali (in particolare dei tre fondatori Maria Cristina Giambruno, Totò Centofanti e Antonio Massena), un tempo pionieri oggi consolidati presìdi della cultura, fortunatamente “pazzi” dell’Uovo. Nell’aver ribaltato l’ordine, individuando nel futuro (l’Uovo) la guida, la sfida, l’obiettivo, la stella polare, in un parola l’essere uomini, teatranti, intellettuali. Nomen omen.
Il futuro come ragione di vita e di fare teatro. Solo chi è sbilanciato verso il futuro può scommettere su operazioni quali “L’antro degli orrori”, “Metamorphoses”, “Le stanze del vino”. E quanti, tanti purtroppo, tra quelli a cui piacciono le galline dell’oggi, storcevano il muso ogni volta che si lanciava l’idea, magari, di sperimentare dei detenuti come attori (“L’antro…”), o di puntare su una produzione teatrale che parlasse di scienza (“Metamorphoses”) o, addirittura, di portare in scena financo i prodotti vitivinicoli e agroalimentari di qualità del Trentino e dell’Abruzzo (”Le stanze…”).
Una follia? No, un’utopia. Quella che, in fondo, trent’anni fa ha consentito a questi tre intelletuali “pazzi” di dare corpo alla creatività. Quella creatività, che ha dato frutti impensabili sei lustri fa (per credere basta non solo voltarsi indietro in questi trent’anni ma gettare anche lo sguardo nemmeno tanto in avanti) e entusiasmanti per quello che potrebbero generare in futuro.
Per dirla con Giuseppe De Rita, questi “pazzi” dell’Uovo non sono a caccia di un “mellifluo consenso”, non sono “nell’ordine” lì dove “questo termine in superficie sta a significare che abbiamo più voglia di istituzioni funzionanti che voglia di trasformarle, riformarle, rivoluzionarle. Vince il pragmatismo del quotidiano, non un’idea di futuro migliore”.
No, all’Uovo vince sempre l’uovo inteso come ciò che verrà. L’Uovo che potrà nascere domani soltanto se si investe creativamente sull’innovazione, coniugando al futuro i propri sogni.
E’ la creatività che sta dietro ogni passo, ogni scelta, ogni respiro di questi “pazzi”. Tutte le scelte, anche quelle minime, apparentemente secondarie sono impregnate da un’Idea. Come quella di chiedere a chi scrive di abbozzare due righe introduttive a questo volume creativamente celebrativo. Tra decine di eccellenti specialisti del teatro e della cultura italiana che avrebbero messo manifesti per il solo fatto di essere coinvolti, questi “pazzi” dell'Uovo hanno scelto uno scrittore di campagna e giornalista di periferia che crede però nei suoi sogni, eccome se ci crede. Una scelta utopicamente creativa: vediamo costui che cosa s’inventa - si son detti i “pazzi” all’uscita nottetempo dall’antro del San Filippo - per introdurre un mondo che non è suo e non gli appartiene ma che, quale osservatore, può guardare con occhi diversi, non “nell’ordine”, senza “mellifluo consenso”. Perché, in fondo, costui rappresenta quelli che stanno al di là del palcoscenico; può essere il referente del Pubblico, il suo rappresentante sindacale. Di quel pubblico che L’Uovo ha cercato, con onestà intellettuale, di plasmare ad immagine e somiglianza della propria utopia. Non c’è teatro senza un pubblico, non c’è futuro senza un teatro.
Finchè vivrà l’utopia di un teatro nuovo, L’Uovo continuerà a stupirci con le sue produzioni originali e di grande impatto emotivo e culturale. L’Uovo continuerà nel suo percorso fatto di professionalità, ma anche di grande generosità intellettuale, che lo ha portato negli anni ad avere un pubblico affezionato e partecipe, in grado di rinnovarsi e evolvere.
I trent’anni sono un traguardo, ma anche l’inizio, ne siamo certi, di nuove sperimentazioni, di nuovi successi, di una nuova e importante progettualità.
Dunque, anche la saggezza popolare ha due approcci, diametralmente e filosoficamente opposti, con quella che, da sempre, è stata una costante (pre)occupazione dell’animo umano: il futuro. Nella prima versione (“Meglio una gallina…”) si vuol esprimere grande sfiducia nel futuro perchè senza la gallina non ci saranno uova nè domani nè mai. Nella seconda versione (“Meglio un uovo...”), si vuol esprimere sfiducia nel realizzare maggiori vantaggi in futuro, per cui è più conveniente contentarsi del poco certo dell’oggi (l’uovo) senza correre rischi sul domani (la gallina).
Detta così, facendo ricorso alla saggezza popolare, la scelta della singolare denominazione “L’Uovo” (che, diciamolo, fa proprio simpatia!) potrebbe quindi significare l’antitesi di chi crede nel futuro. Oggi o domani, l’uovo, rispetto alla stessa gallina, sarebbe soltanto un meschino rifugio nel pragmatismo, nell’ordinario.
E invece, sta tutta qui, già nella scelta avanguardistica del nome la grandezza ciclopica di questi intellettuali (in particolare dei tre fondatori Maria Cristina Giambruno, Totò Centofanti e Antonio Massena), un tempo pionieri oggi consolidati presìdi della cultura, fortunatamente “pazzi” dell’Uovo. Nell’aver ribaltato l’ordine, individuando nel futuro (l’Uovo) la guida, la sfida, l’obiettivo, la stella polare, in un parola l’essere uomini, teatranti, intellettuali. Nomen omen.
Il futuro come ragione di vita e di fare teatro. Solo chi è sbilanciato verso il futuro può scommettere su operazioni quali “L’antro degli orrori”, “Metamorphoses”, “Le stanze del vino”. E quanti, tanti purtroppo, tra quelli a cui piacciono le galline dell’oggi, storcevano il muso ogni volta che si lanciava l’idea, magari, di sperimentare dei detenuti come attori (“L’antro…”), o di puntare su una produzione teatrale che parlasse di scienza (“Metamorphoses”) o, addirittura, di portare in scena financo i prodotti vitivinicoli e agroalimentari di qualità del Trentino e dell’Abruzzo (”Le stanze…”).
Una follia? No, un’utopia. Quella che, in fondo, trent’anni fa ha consentito a questi tre intelletuali “pazzi” di dare corpo alla creatività. Quella creatività, che ha dato frutti impensabili sei lustri fa (per credere basta non solo voltarsi indietro in questi trent’anni ma gettare anche lo sguardo nemmeno tanto in avanti) e entusiasmanti per quello che potrebbero generare in futuro.
Per dirla con Giuseppe De Rita, questi “pazzi” dell’Uovo non sono a caccia di un “mellifluo consenso”, non sono “nell’ordine” lì dove “questo termine in superficie sta a significare che abbiamo più voglia di istituzioni funzionanti che voglia di trasformarle, riformarle, rivoluzionarle. Vince il pragmatismo del quotidiano, non un’idea di futuro migliore”.
No, all’Uovo vince sempre l’uovo inteso come ciò che verrà. L’Uovo che potrà nascere domani soltanto se si investe creativamente sull’innovazione, coniugando al futuro i propri sogni.
E’ la creatività che sta dietro ogni passo, ogni scelta, ogni respiro di questi “pazzi”. Tutte le scelte, anche quelle minime, apparentemente secondarie sono impregnate da un’Idea. Come quella di chiedere a chi scrive di abbozzare due righe introduttive a questo volume creativamente celebrativo. Tra decine di eccellenti specialisti del teatro e della cultura italiana che avrebbero messo manifesti per il solo fatto di essere coinvolti, questi “pazzi” dell'Uovo hanno scelto uno scrittore di campagna e giornalista di periferia che crede però nei suoi sogni, eccome se ci crede. Una scelta utopicamente creativa: vediamo costui che cosa s’inventa - si son detti i “pazzi” all’uscita nottetempo dall’antro del San Filippo - per introdurre un mondo che non è suo e non gli appartiene ma che, quale osservatore, può guardare con occhi diversi, non “nell’ordine”, senza “mellifluo consenso”. Perché, in fondo, costui rappresenta quelli che stanno al di là del palcoscenico; può essere il referente del Pubblico, il suo rappresentante sindacale. Di quel pubblico che L’Uovo ha cercato, con onestà intellettuale, di plasmare ad immagine e somiglianza della propria utopia. Non c’è teatro senza un pubblico, non c’è futuro senza un teatro.
Finchè vivrà l’utopia di un teatro nuovo, L’Uovo continuerà a stupirci con le sue produzioni originali e di grande impatto emotivo e culturale. L’Uovo continuerà nel suo percorso fatto di professionalità, ma anche di grande generosità intellettuale, che lo ha portato negli anni ad avere un pubblico affezionato e partecipe, in grado di rinnovarsi e evolvere.
I trent’anni sono un traguardo, ma anche l’inizio, ne siamo certi, di nuove sperimentazioni, di nuovi successi, di una nuova e importante progettualità.
Angelo De Nicola