La Loro Utopia: "Costruirsi" un Pubblico
Intervista ad uno di tre fondatori dell'Uovo, Totò Centofanti
da ”Senzatitolo” n.13 Settembre 2008
di ANGELO DE NICOLA
di ANGELO DE NICOLA
Trent’anni. Non sono una svolta simbolica come i 25 o 40. Eppure rappresentano, in qualche modo, un passaggio importante. A ben rifletterci, i trent’anni, ancor più dei 25, danno la stura a riflessioni più profonde (chi sono? chi siamo? dove andiamo? ce l’abbiamo fatta? ce la faremo?) a cui, però, proprio perché non sono 40 nè 50, non sappiamo dare delle risposte compiute: balbettiamo.
Perciò, con Totò Centofanti, uno dei tre fondatori dell’Uovo con Maria Cristina Giambruno e Antonio Massena in quel 19 agosto del 1978 (questa, almeno, è la data dell’atto davanti a notar Ciancarelli), ho deliberatamente evitato l’intervista canonica, istituzionale, convenzionale.
L’ho provocato. Ricorrendo a Marcel Proust e ad una libera interpretazione del suo noto “Questionario”. Ne è venuta fuori una sorta di seduta psicoanalitica in cui i ruoli si sono spesso confusi, invertiti, fusi. E Totò è sembrato a suo agio sia nella parte del “paziente” che in quella dell’“analista”, sia col taccuino in mano che disteso sul lettino. Avremmo potuto anche metterlo in scena, il colloquio, intitolandolo, magari, “T(r)entenni”.
Ecco cosa ne è venuto fuori. Con una preghiera: rifacciamola per il quarantennale.
Perciò, con Totò Centofanti, uno dei tre fondatori dell’Uovo con Maria Cristina Giambruno e Antonio Massena in quel 19 agosto del 1978 (questa, almeno, è la data dell’atto davanti a notar Ciancarelli), ho deliberatamente evitato l’intervista canonica, istituzionale, convenzionale.
L’ho provocato. Ricorrendo a Marcel Proust e ad una libera interpretazione del suo noto “Questionario”. Ne è venuta fuori una sorta di seduta psicoanalitica in cui i ruoli si sono spesso confusi, invertiti, fusi. E Totò è sembrato a suo agio sia nella parte del “paziente” che in quella dell’“analista”, sia col taccuino in mano che disteso sul lettino. Avremmo potuto anche metterlo in scena, il colloquio, intitolandolo, magari, “T(r)entenni”.
Ecco cosa ne è venuto fuori. Con una preghiera: rifacciamola per il quarantennale.
Il tratto principale dell’Uovo
L’utopia. Che è poi quella che l’ha fatto nascere trent’anni fa. Siccome non ci piaceva la dimensione dell’andare a teatro, ci dicemmo: perchè non ce lo costruiamo noi, un pubblico? Di qui la scelta, strategica ma inevitabile, di puntare sui giovani, sull’innovazione, sulla ricerca. Un’utopia che resta il tratto principale dell’oggi: la velleità di fare teatro mantenendo l’autonomia dalla politica. Se resisteremo? In uno dei nostri spettacolo cui, non a caso sono più affezionato, “Facciamo che Pinocchio era un burattino”, ad un certo punto Mangiafuoco dice: ”Ahimè, il teatro chiude per mancanza di idee”.
La qualità che desideri del teatro
L’autenticità. Il teatro è finzione, certo. Ma se l’attore non riesce a trasmettere emozioni autentiche allo spettatore, la magia non si compie. Nel suo training, l’attore deve essere autentico.
Quel che apprezzi di più in un attore
Appunto il trasfert delle emozioni allo spettatore. Certo, l’attore è uno e gli spettatori sono tanti. Ecco, se l’attore non è capace di far questo, è meglio che se ne stia a casa.
Il principale difetto dell’Uovo
Di sicuro questa istanza di autonomia e indipendenza. Sarebbe molto più facile “corteggiare” la politica.
Il sogno di felicità dell’Uovo
La continuità. Che cioè questa utopia vada avanti anche dopo di noi riuscendo sempre a trovare le attenzioni necessarie per darsi continuità.
Quale sarebbe la più grande disgrazia per l’Uovo
Appunto che chiuda, che finisca l’utopia. E questo non lo dico per me o per altri “padri” e “figli” di questa idea, ma perchè il venir meno significherebbe la fin di una filosofia di vita che non è soltanto la nostra.
Quel che vorrebbe essere l’Uovo
Vorrebbe essere una realtà in una realtà diversa. L’Uovo vive due realtà. Quella prettamente aquilana e quella, chiamiamola così, esterna alla città. Abbiamo scalato i vertici e la nomina di Antonio Massena a presidente nazionale dell’Antac (Associazione nazionale teatri d’arte contemporanea) lo testimonia. Abbiamo anche raggiunto una certa stabilità (tranne che il Comune dell’Aquila non voglia rinnovarci l’ormai “storica” convenzione per il San Filippo). Ma auspichiamo una maggiore chiarezza nell’essere e nel fare cultura in questa città, in questa regione, in questo Paese.
Lo spettacolo che preferisci
L’ho già detto: il nostro “Facciamo che Pinocchio era un burattino”. In quello spettacolo abbiamo fatto gli attori, i tecnici, i facchini. E in quella dimensione pioneristica, abbiamo lasciato un segno, la traccia, di quello che l’Uovo sarebbe stato. Usammo, ad esempio, in maniera innovativa le immagini sul palcoscenico: oggi lo fanno tutti.
Lo spettacolo che ami
Due: il Faust e il Don Giovanni. Che poi sono stati il terreno di cultura del mio maestro, Nicola Ciarletta.
L’autore preferito
Eduardo, über alles.
Poeti preferiti
Lorca, Quasimodo, Neruda.
Il tuo eroe nella finzione
Faust e Don Giovanni: il primo per il suo patto col diavolo, l’altro non certo come donnaiolo ma come rivoluzionario.
Le tue eroine nella finzione
Le donne di Shakespeare.
I compositori preferiti
Mozart e Beethoven.
I pittori preferiti
Direi il Rinascimento italiano, tutto.
L’eroe nella vita reale
Non credo negli eroi. “Povero quel paese che ha bisogno di eroi” ha detto Brecht.
Il tuo nome preferito
Giada. Allora era fuori dagli schemi. Qualcosa di molto, molto prezioso, come volle Cristina.
Quel che detesti più di tutto nel teatro
L’approssimazione ed il volgare scopiazzamento.
Il personaggio storico più disprezzato
Hitler, senza dubbio.
Il dono di natura che vorresti avere
La sfacciataggine.
Come vorresti morire
Sereno.
Stato d’animo attuale
Alla ricerca dell’utopia.
Le colpe che ti ispirano maggiore indulgenza
Tendenzialmente sono molto indulgente: ritengo che chiunque debba avere una seconda possibilità. Comunque, sono indulgente verso chi soffre e chi fa qualcosa per reagire ad un’ingiustizia.
Il tuo motto
Portare sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Grazie!
Grazie a te!
L’utopia. Che è poi quella che l’ha fatto nascere trent’anni fa. Siccome non ci piaceva la dimensione dell’andare a teatro, ci dicemmo: perchè non ce lo costruiamo noi, un pubblico? Di qui la scelta, strategica ma inevitabile, di puntare sui giovani, sull’innovazione, sulla ricerca. Un’utopia che resta il tratto principale dell’oggi: la velleità di fare teatro mantenendo l’autonomia dalla politica. Se resisteremo? In uno dei nostri spettacolo cui, non a caso sono più affezionato, “Facciamo che Pinocchio era un burattino”, ad un certo punto Mangiafuoco dice: ”Ahimè, il teatro chiude per mancanza di idee”.
La qualità che desideri del teatro
L’autenticità. Il teatro è finzione, certo. Ma se l’attore non riesce a trasmettere emozioni autentiche allo spettatore, la magia non si compie. Nel suo training, l’attore deve essere autentico.
Quel che apprezzi di più in un attore
Appunto il trasfert delle emozioni allo spettatore. Certo, l’attore è uno e gli spettatori sono tanti. Ecco, se l’attore non è capace di far questo, è meglio che se ne stia a casa.
Il principale difetto dell’Uovo
Di sicuro questa istanza di autonomia e indipendenza. Sarebbe molto più facile “corteggiare” la politica.
Il sogno di felicità dell’Uovo
La continuità. Che cioè questa utopia vada avanti anche dopo di noi riuscendo sempre a trovare le attenzioni necessarie per darsi continuità.
Quale sarebbe la più grande disgrazia per l’Uovo
Appunto che chiuda, che finisca l’utopia. E questo non lo dico per me o per altri “padri” e “figli” di questa idea, ma perchè il venir meno significherebbe la fin di una filosofia di vita che non è soltanto la nostra.
Quel che vorrebbe essere l’Uovo
Vorrebbe essere una realtà in una realtà diversa. L’Uovo vive due realtà. Quella prettamente aquilana e quella, chiamiamola così, esterna alla città. Abbiamo scalato i vertici e la nomina di Antonio Massena a presidente nazionale dell’Antac (Associazione nazionale teatri d’arte contemporanea) lo testimonia. Abbiamo anche raggiunto una certa stabilità (tranne che il Comune dell’Aquila non voglia rinnovarci l’ormai “storica” convenzione per il San Filippo). Ma auspichiamo una maggiore chiarezza nell’essere e nel fare cultura in questa città, in questa regione, in questo Paese.
Lo spettacolo che preferisci
L’ho già detto: il nostro “Facciamo che Pinocchio era un burattino”. In quello spettacolo abbiamo fatto gli attori, i tecnici, i facchini. E in quella dimensione pioneristica, abbiamo lasciato un segno, la traccia, di quello che l’Uovo sarebbe stato. Usammo, ad esempio, in maniera innovativa le immagini sul palcoscenico: oggi lo fanno tutti.
Lo spettacolo che ami
Due: il Faust e il Don Giovanni. Che poi sono stati il terreno di cultura del mio maestro, Nicola Ciarletta.
L’autore preferito
Eduardo, über alles.
Poeti preferiti
Lorca, Quasimodo, Neruda.
Il tuo eroe nella finzione
Faust e Don Giovanni: il primo per il suo patto col diavolo, l’altro non certo come donnaiolo ma come rivoluzionario.
Le tue eroine nella finzione
Le donne di Shakespeare.
I compositori preferiti
Mozart e Beethoven.
I pittori preferiti
Direi il Rinascimento italiano, tutto.
L’eroe nella vita reale
Non credo negli eroi. “Povero quel paese che ha bisogno di eroi” ha detto Brecht.
Il tuo nome preferito
Giada. Allora era fuori dagli schemi. Qualcosa di molto, molto prezioso, come volle Cristina.
Quel che detesti più di tutto nel teatro
L’approssimazione ed il volgare scopiazzamento.
Il personaggio storico più disprezzato
Hitler, senza dubbio.
Il dono di natura che vorresti avere
La sfacciataggine.
Come vorresti morire
Sereno.
Stato d’animo attuale
Alla ricerca dell’utopia.
Le colpe che ti ispirano maggiore indulgenza
Tendenzialmente sono molto indulgente: ritengo che chiunque debba avere una seconda possibilità. Comunque, sono indulgente verso chi soffre e chi fa qualcosa per reagire ad un’ingiustizia.
Il tuo motto
Portare sempre il cuore oltre l’ostacolo.
Grazie!
Grazie a te!
Angelo De Nicola