Cinquantenario del Lions Club dell'Aquila
Intervista al socio fondatore Enrico Carli
(dal libro "1957-2007: Ricordare il passato, programmare il futuro")
"...E chi se lo può scordare quell'anno, il 1958! In quell'anno sposai l'amata Ida, in quell'anno passai dal "Messaggero" al "Tempo" dove poi sono rimasto una vita, in quell'anno partecipai alla prima Charter del Lions Club. Che anno quel 1958!". Enrico Carli non ha bisogno di aiuti per tornare a quell'annata speciale. La memoria lo assiste, a dispetto dei suoi quasi 90 anni che si appresta a compiere l'8 settembre di quest'anno, il 2007, l'anno che segna il cinquantenario del Lions Club dell'Aquila.
Enrico, classe 1917, unico socio fondatore superstite insieme con Germano Barattelli, ricorda tutto ("O quasi tutto" si schernisce) della sua intensissima vita lionistica che tutt'oggi lo vede in prima linea, sempre, dovunque, con il piglio del giovanotto, sbarazzino su quella sua Cinquecento per la quale, come per il padrone, il tempo non sembra passare mai. Cinquant'anni di Lions e non sentirli da quella prima riunione al "Grande Albergo" convocata dall'avvocato Salvatore Di Paolo.
Enrico, classe 1917, unico socio fondatore superstite insieme con Germano Barattelli, ricorda tutto ("O quasi tutto" si schernisce) della sua intensissima vita lionistica che tutt'oggi lo vede in prima linea, sempre, dovunque, con il piglio del giovanotto, sbarazzino su quella sua Cinquecento per la quale, come per il padrone, il tempo non sembra passare mai. Cinquant'anni di Lions e non sentirli da quella prima riunione al "Grande Albergo" convocata dall'avvocato Salvatore Di Paolo.
Fu un vero "ingorgo", per te, quell'anno...
"Proprio così. La Charter venne fissata per il 15 febbraio. Io nel frattempo avevo già fissato la data del matrimonio: il 28 gennaio. Con Ida partimmo per il viaggio di nozze. Andammo in Sicilia, con l'automobile fino a Napoli e poi in treno. Erano altri tempi! Andare in viaggio di nozze nelle Antille e nelle Seichelle allora si poteva solo sognare".
Facesti appena in tempo a tornare per la Charter...
"Non potevo mancare. Tornai il giorno prima ma c'era il problema dello smoking".
Problema?
"Io e Germano Barattelli avevamo ordinato lo smoking dal sarto Pomante, che aveva la bottega in piazza Duomo. L'artigiano, originario del teramano come il suo maestro Catitti, aveva telefonato più volte a casa mia ma non mi aveva trovato: ero in viaggio di nozze. Così la mattina stessa della Charter andai a provarmi lo smoking ancora tutto da cucire. Fresco dal viaggio di nozze, assai intrigato da questa prima Charter, l'entusiasmo era alle stelle".
Ma a chi era venuta l'idea dei costituire il Club?
"Di Paolo frequentava la zona di Ortona e di Pescara. Lì aveva visto nascere, nel 1954, il Club di Pescara ed aveva visto all'opera, per il lancio dell'idea lionistica, il suo collega, l'avvocato pescarese Gudi Alberto Scoponi. Così lanciò l'idea all'Aquila. All'epoca i giornalisti in città erano pochi e molto in vista. Perciò fui contattato ed aderii subito, con entusiasmo".
Dunque, arriva il giorno della la Charter al "Grande Albergo"...
"Era davvero la sede ideale con i suoi immensi saloni che oggi non ci sono più, occupati da una banca. Anche il Rotary, che era nato prima, si riuniva lì e spesso venivo invitato. E lì, subito dopo la Guerra, organizzavamo le feste da ballo dell'attivissima Asu, l'Associazione degli studenti universitari, che aggregava la migliore società aquilana".
Ricordi quella serata?
"Una bella cerimonia con consegna del distintivo con la scritta "Charter" che io conservo ancora e che qualche volta torno ad indossare con orgoglio; la solita cena; il "solito" ballo sulle note di un orchestra dal vivo con dieci elementi. La serata fu bellissima. Altri tempi!".
Tutti in smoking?
"Tutti. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi si può anche andare ai meeting senza cravatta".
Tutti amici...
"L'amicizia ha cementato il Club. L'amicizia tra i soci ha consentito al Club di toccare questo importante traguardo del mezzo secolo. L'amicizia, per me, non è una parola vuota. E questo lo devo molto al Lions".
Troppo amico di tutti per fare il presidente? Come mai non hai mai guidato il Club?
"Ho fatto il vicepresidente, il segretario, il cerimoniere, per due volte anche l'addetto stampa distrettuale con i Governatori Gaetano Bellisari e Scoponi. E non era come oggi: si lavorava in condizioni difficili, senza le facilitazioni delle tecnologie di oggi. Ricordo che dalla sede centrale mi arrivavano i ritagli di stampa con i quali provvedevo a redigere gli articoli. Era un lavoraccaio tanto più che si doveva fare i conti anche con quella Puglia che, da sola, faceva un Distretto. Il distacco ha risolto tanti problemi".
Sì, ma perchè non hai fatto mai il presidente?
"Ho citato il mio impegno lionistico per dimostrare che non ho scansato le responsabilità nel Club. Avevo un mucchio di impegni. Mandavo avanti "Il Tempo", avevo le corrispondenze del Corriere della Sera e della Rai, per non parlare del negozio di mia madre. Il presidente è sempre stato un ruolo affidato ad una persona che avesse tempo ed energie per prendere contatti, dedicarsi al Club anima e corpo. Forse, s'è valutato che non ce l'avrei fatta a sostenere un impegno simile".
Qualche rimpianto, oggi, di non averlo fatto?
"No, affatto. Ho dato al Club tutto quello che potevo dare ricevendo tantissimo in cambio. Quando Ida, nel 1987, mi ha lasciato, anche il Club è diventato un po' la mia famiglia".
Bilancio positivo, dunque?
"Oltremodo positivo. Soprattutto per questa "rifondazione" continua del Club. Oggi parliamo dei 50 anni della fondazione, ma il Club si rifonda ogni anno e questo lo rende forte, capace di rispettare il mandato di servizio che è alla sua base".
E i ricordi più significativi?
"Difficile fare una cernita tra tanti così belli. Ricordo l'avvocato Gioacchino Scarsella che, in tempi in cui l'Europa Unita era in mente dei, realizzò una serie di pubblicazioni, sostenute dal Club, sulla Giustizia comparata con le altre nazioni europee. A lui è legato, per me indelebilmente, il ricordo della grande amicizia tra noi soci: gli faceva sempre male la testa, tanto che spesso doveva poggiarla su un cuscino che portava con sè. All'improvviso ebbe un ictus: alcuni soci, tra cui Gino Ludovici, lo trasportarono personalmente a Roma per poter fare un esame Tac. Lo riportarono, purtroppo, che non c'era più nulla da fare. Questi erano i soci del Lions Club".
Altri ricordi?
"L'ho detto, tanti. Il contributo per la campana di Rovereto, la visita al sacrario di Andrea Bafile a Guardiagrele, i contatti con alti ufficiali promossi in particolare da Ezio Villante, la lotta alla droga di Carlo Biamonti che era stato medaglia d'oro. Per me che ho fatto cinque anni di militare, tutto ciò assumeva un significato profondo. Ecco, un mondo che non c'è più".
E il futuro del Lions? Come lo vedi?
"Rispetto a cinquant'anni fa, la società s'è andata affollando di istituzioni che dicono di avere gli stessi scopi, più o meno, del Lions. Si tratta perciò, di perpetrare e difendere certi valori. Di scegliere i soci tra quelle persone che abbiano la caratteristiche giuste. E che siano disposti a puntare tutto sull'amicizia, ossia quel sentimento che può cambiare il mondo, anche questo mondo d'oggi che sembra non avere più grandi valori. Ci vuole coscienza".
Coscienza?
"Noi Lions non dobbiamo fare le cose perchè gli altri parlino di noi ma per ottenere un risultato davanti alla nostra coscienza. Dobbiamo "servire", in coscienza. Questi sono i Lions".
"Proprio così. La Charter venne fissata per il 15 febbraio. Io nel frattempo avevo già fissato la data del matrimonio: il 28 gennaio. Con Ida partimmo per il viaggio di nozze. Andammo in Sicilia, con l'automobile fino a Napoli e poi in treno. Erano altri tempi! Andare in viaggio di nozze nelle Antille e nelle Seichelle allora si poteva solo sognare".
Facesti appena in tempo a tornare per la Charter...
"Non potevo mancare. Tornai il giorno prima ma c'era il problema dello smoking".
Problema?
"Io e Germano Barattelli avevamo ordinato lo smoking dal sarto Pomante, che aveva la bottega in piazza Duomo. L'artigiano, originario del teramano come il suo maestro Catitti, aveva telefonato più volte a casa mia ma non mi aveva trovato: ero in viaggio di nozze. Così la mattina stessa della Charter andai a provarmi lo smoking ancora tutto da cucire. Fresco dal viaggio di nozze, assai intrigato da questa prima Charter, l'entusiasmo era alle stelle".
Ma a chi era venuta l'idea dei costituire il Club?
"Di Paolo frequentava la zona di Ortona e di Pescara. Lì aveva visto nascere, nel 1954, il Club di Pescara ed aveva visto all'opera, per il lancio dell'idea lionistica, il suo collega, l'avvocato pescarese Gudi Alberto Scoponi. Così lanciò l'idea all'Aquila. All'epoca i giornalisti in città erano pochi e molto in vista. Perciò fui contattato ed aderii subito, con entusiasmo".
Dunque, arriva il giorno della la Charter al "Grande Albergo"...
"Era davvero la sede ideale con i suoi immensi saloni che oggi non ci sono più, occupati da una banca. Anche il Rotary, che era nato prima, si riuniva lì e spesso venivo invitato. E lì, subito dopo la Guerra, organizzavamo le feste da ballo dell'attivissima Asu, l'Associazione degli studenti universitari, che aggregava la migliore società aquilana".
Ricordi quella serata?
"Una bella cerimonia con consegna del distintivo con la scritta "Charter" che io conservo ancora e che qualche volta torno ad indossare con orgoglio; la solita cena; il "solito" ballo sulle note di un orchestra dal vivo con dieci elementi. La serata fu bellissima. Altri tempi!".
Tutti in smoking?
"Tutti. Certo, i tempi sono cambiati. Oggi si può anche andare ai meeting senza cravatta".
Tutti amici...
"L'amicizia ha cementato il Club. L'amicizia tra i soci ha consentito al Club di toccare questo importante traguardo del mezzo secolo. L'amicizia, per me, non è una parola vuota. E questo lo devo molto al Lions".
Troppo amico di tutti per fare il presidente? Come mai non hai mai guidato il Club?
"Ho fatto il vicepresidente, il segretario, il cerimoniere, per due volte anche l'addetto stampa distrettuale con i Governatori Gaetano Bellisari e Scoponi. E non era come oggi: si lavorava in condizioni difficili, senza le facilitazioni delle tecnologie di oggi. Ricordo che dalla sede centrale mi arrivavano i ritagli di stampa con i quali provvedevo a redigere gli articoli. Era un lavoraccaio tanto più che si doveva fare i conti anche con quella Puglia che, da sola, faceva un Distretto. Il distacco ha risolto tanti problemi".
Sì, ma perchè non hai fatto mai il presidente?
"Ho citato il mio impegno lionistico per dimostrare che non ho scansato le responsabilità nel Club. Avevo un mucchio di impegni. Mandavo avanti "Il Tempo", avevo le corrispondenze del Corriere della Sera e della Rai, per non parlare del negozio di mia madre. Il presidente è sempre stato un ruolo affidato ad una persona che avesse tempo ed energie per prendere contatti, dedicarsi al Club anima e corpo. Forse, s'è valutato che non ce l'avrei fatta a sostenere un impegno simile".
Qualche rimpianto, oggi, di non averlo fatto?
"No, affatto. Ho dato al Club tutto quello che potevo dare ricevendo tantissimo in cambio. Quando Ida, nel 1987, mi ha lasciato, anche il Club è diventato un po' la mia famiglia".
Bilancio positivo, dunque?
"Oltremodo positivo. Soprattutto per questa "rifondazione" continua del Club. Oggi parliamo dei 50 anni della fondazione, ma il Club si rifonda ogni anno e questo lo rende forte, capace di rispettare il mandato di servizio che è alla sua base".
E i ricordi più significativi?
"Difficile fare una cernita tra tanti così belli. Ricordo l'avvocato Gioacchino Scarsella che, in tempi in cui l'Europa Unita era in mente dei, realizzò una serie di pubblicazioni, sostenute dal Club, sulla Giustizia comparata con le altre nazioni europee. A lui è legato, per me indelebilmente, il ricordo della grande amicizia tra noi soci: gli faceva sempre male la testa, tanto che spesso doveva poggiarla su un cuscino che portava con sè. All'improvviso ebbe un ictus: alcuni soci, tra cui Gino Ludovici, lo trasportarono personalmente a Roma per poter fare un esame Tac. Lo riportarono, purtroppo, che non c'era più nulla da fare. Questi erano i soci del Lions Club".
Altri ricordi?
"L'ho detto, tanti. Il contributo per la campana di Rovereto, la visita al sacrario di Andrea Bafile a Guardiagrele, i contatti con alti ufficiali promossi in particolare da Ezio Villante, la lotta alla droga di Carlo Biamonti che era stato medaglia d'oro. Per me che ho fatto cinque anni di militare, tutto ciò assumeva un significato profondo. Ecco, un mondo che non c'è più".
E il futuro del Lions? Come lo vedi?
"Rispetto a cinquant'anni fa, la società s'è andata affollando di istituzioni che dicono di avere gli stessi scopi, più o meno, del Lions. Si tratta perciò, di perpetrare e difendere certi valori. Di scegliere i soci tra quelle persone che abbiano la caratteristiche giuste. E che siano disposti a puntare tutto sull'amicizia, ossia quel sentimento che può cambiare il mondo, anche questo mondo d'oggi che sembra non avere più grandi valori. Ci vuole coscienza".
Coscienza?
"Noi Lions non dobbiamo fare le cose perchè gli altri parlino di noi ma per ottenere un risultato davanti alla nostra coscienza. Dobbiamo "servire", in coscienza. Questi sono i Lions".
10 febbario 2007 - Cinquantesima "charter night"